Breve biografia di Evagrio Pontico

Un profilo biografico esauriente di Evagrio Pontico lo fornisce il suo discepolo Palladio in un capitolo dell'Historia Lausiaca (il 38esimo) completamente dedicato al maestro; ma notizie sulla vita di Evagrio le apprendiamo anche da Rufino e da Socrate. Palladio, parlando con venerazione, ma anche con schiettezza, del suo mentore, afferma che egli visse come gli apostoli e che la sua vicenda umana merita non di cancellarsi nel silenzio, ma di essere affidata alla scrittura per la glorificazione degli edificati e l'edificazione dei riottosi. Nato ad Ibora, nel Ponto, verso il 345 d.C., già intimo di Basilio Magno, che gli era finitimo, diviene diacono grazie all'insigne Gregorio di Nazianzo, l'altro grande cappadoce (l'amicizia tra i due È testimoniata dal Testamentum dello stesso Gregorio, che lascia in eredità ad Evagrio una camicia, una tunica, due mantelli e trenta pezzi d'oro) e lo segue a Costantinopoli dove Evagrio rivela immediatamente la sua abilità nel confutare tutte le eresie. Là, tuttavia, irretito da una vana immagine di donna, come dice severamente Palladio, intreccia una fosca relazione con la moglie di un funzionario imperiale. Da quel momento, tra vittorie esaltanti e atroci sconfitte, inizia la sua strenua battaglia contro i vizi, di cui diviene l'acuto teorico proprio per averli sperimentali intensamente, al punto che un sommesso e ansioso respiro autobiografico esala dai suoi scritti. Per sottrarsi ai vincoli smaniosi della donna È indotto ad una fuga salutare da sogni tempestosi e premonitori, lascia Costantinopoli e approda presso la beata Melania a Gerusalemme, dove cerca conforto. Ma anche qui eccolo cedere ad altre tentazioni, come la vanagloria, finché‚ una lunga malattia ne prostra spirito e corpo. Infine la sua vita irrequieta muta radicalmente in seguito alla scelta di ritirarsi nel deserto egiziano. Per due anni dimora sul monte della Nitria e per quattordici nelle Celle. Conosce i due Macari, l'Egiziano e l'Alessandrino, e si lega in special modo ad Ammonio, fervente origenista, subendone l'influsso. Nel deserto Evagrio conduce un'esistenza all'insegna di un'ascesi rigidissima, lui che proveniva dalla vita raffinata e lussuosa di Bisanzio: si ciba unicamente di pane e acqua, e solo due anni prima di morire gli si conosce una tarda acquiescenza per i legumi secchi. Viene spesso tormentato dai demoni, soprattutto dallo spirito di lussuria e di blasfemia, ma riceve, in cambio dei suoi sforzi, il dono della di krisis. Sembra che per la stima di cui era circondato sia fra quei monaci avvicinati dall'ambizioso Teofilo, vescovo di Alessandria, che lo tentò offrendogli invano una sede vescovile. Evagrio muore nel 399, poco prima dello scoppio della controversia origenista. (Per le fonti delle notizie biografiche su Evagrio si veda l'Introduction di Guillaumont, cit., pp. 21-29 e 304-318.) Sappiamo di una copiosa produzione scritta di Evagrio da tutti i suoi biografi. Si parla di una folta schiera di lettori delle sue opere in greco, ma anche in latino - grazie alle traduzioni di Rufino - come È ricordato da Gerolamo nella lettera 133esima a Ctesifonte. A causa della condanna, la controversia sulle opere certe di Evagrio e su quelle a lui attribuite appare assai spinosa. Alcuni testi del Nostro, infatti, scomparvero dalla tradizione manoscritta greca. Tuttavia ostinati adepti escogitarono la felice soluzione di tradurre certi trattati in siriaco e armeno o, in altri casi, strenui copisti raccolsero alcune opere sotto nomi soccorrevoli e ortodossi. Evagrio ha prevalentemente una scrittura secca, aforistica. La sua consuetudine di raccogliere le sentenze in centurie avrà lunga vita nella tradizione bizantina. Fra le opere menzioniamo: il Praktik n, il Pratico che consta di 100 capitoli e si presenta come un serrato vademecum per il monaco apprendista e volenteroso, indispensabile ad una difesa dagli attacchi dei vizi e necessario avvio sull'impervia strada dell'ap theia. Lo Gnostikòn, lo Gnostico, in 50 capitoli, È stato conservato integralmente solo in siriaco e armeno. È una continuazione del trattato precedente, poiché gli ammaestramenti in esso presenti prevedono che l'adepto abbia già raggiunto l'ap theia e si adoperi a conseguire ulteriori traguardi. È recente l'uscita di un'edizione francese: Le gnostique ou celui qui est devenu digne de la science, ‚dition critique des fragments grecs par A. e C. Guillaumont, traduction int‚grale et blie au moyen de versions syriaques et arm‚nienne (Sources Chretiennes, 356), Paris, Ed. du cerf, 1989. L'ideale trilogia monacale si conclude con i Keph laia gnostica, reperibile in due versioni siriache, sei centurie del tutto perdute nell'originale greco, se si eccettuano isolate sentenze accolte presso altri autori, o incompleti florilegi. Si tratta della grande opera dottrinale dell'Iborita dove compare più prepotentemente la tematica origenista condannata: la preesistenza delle anime nello stato di intelletti puri, la loro caduta in corpi differenti con conseguente formazione di angeli, demoni e uomini, e l'apocatastasi. Rerum monachalium rationes (T"n katà monakhon pragm ton tà aìtia), che È conservato nel testo greco (PG XL, 1252 D - 1264 C) e argomenta sui requisiti imprescindibili per ben condursi nella vita monastica: dal celibato, alla povertà, alla meditazione escatologica. Tractatus ad Eulogium monachum (Pros Eylògion mònakhon) (PG LXXIX, 1093 D - 1140 A): coperto dall'opaca protezione del nome di San Nilo, ma di penna evagriana, secondo la tradizione siriaca e armena. L'Antirretikòn, conservato solo in siriaco e armeno, solenne trattato sugli otto vizi e sui testi scritturali che devono essere recitati per scacciare ogni singolo pensiero maligno. De diversis malignis cogitationibus ancora sui rapporti tra i vizi, il loro perfido allignare e la sconvolgente epifania. Si trova tra le opere di San Nilo, ma È sicuramente di Evagrio secondo una gran parte della tradizione manoscritta greca e orientale. De oratione (Perì proseykhes) (PG, LXXIX, 1165 A - 1200 C): formato da 153 capitoli come il numero dei pesci della pesca miracolosa (Jo. XXI, 11) e vi si espone il concetto evagriano di "preghiera pura". L'epistolario, composto da 64 lettere, si può leggere solo in versione siriaca, compresa la lunga lettera a Melania, dove Evagrio manifesta le sue teorie più temerarie ed eterodosse. Una sola di queste lettere, detta Lettera sulla fede, si può reperire sotto il nome di Basilio Magno (PG, XXXII, 24 C - 268 B). Altri frammenti, testi brevi, sentenze sparse, rapide folgorazioni dottrinali o probabili lacerti di libri perduti sono raccolti in Evagriana a cura di J. Muyldermans, Paris 1931. Infine il trattato qui tradotto: De octo spiritibus malitiae (Perì t"n oktò pneym ton tˆs ponerìas). Troviamo anch'esso fra gli scritti dell'ottimo San Nilo (PG, LXXIX, 1145 A - 1164 D). Non vi È edizione critica dell'opera n‚ vi sono traduzioni in lingue moderne e il latino che fronteggia il testo greco, nella Patrologia, si avvale, a volte, di rese troppo fantasiose.

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