Capitolo 9

L'ira L'ira (1) e una passione furente e con facilità fa uscir di senno quelli che hanno la conoscenza, imbestialisce l'anima e degrada l'intero consorzio umano (2). Un vento impetuoso non piegherà la torre e l'animosità non trascina via l'anima mansueta. L'acqua È mossa dalla violenza dei venti e l'iracondo È agitato dai pensieri dissennati. Il monaco iracondo vede qualcuno e arrota i denti (3). La diffusione della nebbia condensa l'aria e il moto dell'ira annebbia la mente dell'iracondo. La nube procedendo offusca il sole e così il pensiero rancoroso (4) ottunde la mente. Il leone in gabbia scuote continuamente i cardini come il violento nella cella (quando È assalito) dal pensiero dell'ira (5). È deliziosa la vista di un mare tranquillo, ma non È certo più dilettosa di uno stato di pace: infatti i delfini nuotano nel mare in bonaccia e i pensieri volti a Dio si immergono in uno stato di serenità. Il monaco magnanimo È una fonte tranquilla, gradevole bevanda offerta a tutti, mentre la mente dell'iracondo È continuamente agitata ed egli non darà l'acqua all'assetato e, se gliela darà, sarà intorbidata e nociva; gli occhi dell'animoso sono sconvolti e iniettati di sangue e annunziano un cuore in tumulto. Il volto del magnanimo mostra assennatezza e gli occhi benigni sono rivolti verso il basso.

Capitolo 10

La mansuetudine (1) dell'uomo È ricordata da Dio e l'anima mite diviene il tempio dello Spirito Santo. Cristo reclina il capo in spirito mite e solo la mente pacifica diviene dimora della Santa Trinità. Le volpi allignano nell'anima rancorosa e le fiere si appiattano nel cuore sconvolto. Fugge l'uomo onesto l'alloggio malfamato, e Dio un cuore rancoroso(2). Una pietra che cade in acqua la agita, come un cattivo discorso il cuore dell'uomo. Allontana dalla tua anima i pensieri dell'ira e non bivacchi l'animosità nel recinto del tuo cuore e non lo turbi nel momento della preghiera (3): infatti come il fumo della paglia offusca la vista così la mente È turbata dal livore durante la preghiera. I pensieri dell'animoso sono prole di vipera (4) e divorano il cuore che li ha generati. La sua preghiera È un incenso abominevole ed il salmodiare dà un suono sgradevole. Il dono del rancoroso È come un'offerta che brulica di formiche e di certo non si avvicinerà agli altari aspersi di acqua lustrale. L'animoso avrà sogni turbati e l'iracondo si immaginerà assalti di belve (5). L'uomo magnanimo ha la visione di consessi di santi angeli e colui che non porta rancore si esercita con discorsi spirituali e nella notte riceve la soluzione dei misteri.

Capitolo 11

La tristezza

Il monaco affetto dalla tristezza (1) non conosce il piacere spirituale: la tristezza È un abbattimento dell'anima e si forma dai pensieri dell'ira. Il desiderio di vendetta, infatti, È proprio dell'ira, l'insuccesso della vendetta genera la tristezza; la tristezza È la bocca del leone e facilmente divora colui che si rattrista. La tristezza È un verme del cuore e mangia la madre che l'ha generato. Soffre la madre quando partorisce il figlio, ma, una volta sgravata, È libera dal dolore; la tristezza, invece, mentre È generata, provoca lunghe doglie e, sopravvivendo, dopo i travagli, non porta minori sofferenze. Il monaco triste non conosce la letizia spirituale, come colui che ha una forte febbre non avverte il sapore del miele. Il monaco triste non saprà muovere la mente verso la contemplazione né sgorga da lui una preghiera pura: la tristezza È un impedimento per ogni bene. Avere i piedi legati È un impedimento per la corsa, così la tristezza È un ostacolo per la contemplazione. Il prigioniero dei barbari È legato con catene e la tristezza lega colui che È prigioniero (2) delle passioni. In assenza di altre passioni la tristezza non ha forza come non ne ha un legame se manca chi lega. Colui che È avvinto dalla tristezza È vinto dalle passioni e come prova della sconfitta viene addotto il legame. Infatti la tristezza deriva dall'insuccesso del desiderio carnale (3) poiché il desiderio È congiunto a tutte le passioni. Chi vincerà il desiderio vincerà le passioni e il vincitore delle passioni non sarà sottomesso dalla tristezza. Il temperante non È rattristato dalla penuria di cibo, né il saggio quando raggiunge una folle dissolutezza, né il mansueto che tralascia la vendetta, né l'umile se È privato dell'onore degli uomini, né il generoso quando incorre in una perdita finanziaria: essi evitarono con forza, infatti, il desiderio di queste cose: come infatti colui che È ben corazzato respinge i colpi, così l'uomo privo di passioni non È ferito dalla tristezza.

Capitolo 12

Lo scudo È la sicurezza del soldato e le mura lo sono della città: più sicura di entrambi È per il monaco l'ap theia. E infatti spesso una freccia scagliata da un forte braccio trapassa lo scudo e la moltitudine dei nemici abbatte le mura mentre la tristezza non può prevalere sull'ap theia. Colui che domina le passioni signoreggerà sulla tristezza, mentre chi È vinto dal piacere non sfuggirà ai suoi legami(1). Colui che si rattrista facilmente e simula un'assenza di passioni È come l'ammalato che finge di essere sano; come la malattia si rivela dall'incarnato, la presenza di una passione È dimostrata dalla tristezza. Colui che ama il mondo sarà molto afflitto mentre coloro che disprezzano ciò che vi È in esso saranno allietati per sempre (2). L'avaro, ricevuto un danno, sarà atrocemente rattristato, mentre colui che disprezza le ricchezze sarà sempre indenne dalla tristezza (3). Chi brama la gloria, al sopraggiungere del disonore, sarà addolorato, mentre l'umile lo accoglierà come un compagno. La fornace purifica l'argento di bassa lega e la tristezza di fronte a Dio il cuore preda dell'errore; la continua fusione impoverisce il piombo e la tristezza per le cose del mondo sminuisce l'intelletto. La caligine indebolisce la forza degli occhi e la tristezza inebetisce la mente dedita alla contemplazione; la luce del sole non raggiunge gli abissi marini e la visione della luce non rischiara un cuore rattristato; dolce È per tutti gli uomini il sorgere del sole, ma anche di questo si dispiace l'anima triste; l'ittero toglie il senso del gusto come la tristezza che sottrae all'anima la capacità di percepire. Ma colui che disprezza i piaceri del mondo non sarà turbato dai cattivi pensieri della tristezza.


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