Capitolo VIII - L'Ufficio divino nella notte
Durante la stagione invernale, cioè dal principio di novembre sino a Pasqua, secondo un calcolo ragionevole, la sveglia sia verso le due del mattino,
in modo che il sonno si prolunghi un po' oltre la mezzanotte e tutti si possano alzare sufficientemente riposati.
Il tempo che rimane dopo l'Ufficio vigilare venga impiegato dai monaci, che ne hanno bisogno, nello studio del salterio o delle lezioni.
Da Pasqua, invece, sino al suddetto inizio di novembre, l'orario venga disposto in modo tale che, dopo un brevissimo intervallo nel quale i fratelli possono uscire per le necessità della natura, l'Ufficio vigiliare sia seguito immediatamente dalle Lodi, che devono essere recitate al primo albeggiare.
Capitolo IX - I salmi dell'Ufficio notturno
Nel suddetto periodo invernale si dica prima di tutto per tre volte il versetto: "Signore, apri le mie labbra e la mia bocca annunzierà la tua lode",
a cui si aggiunga il salmo 3 con il Gloria;
dopo di questo il salmo 94 cantato con l'antifona oppure lentamente.
Quindi segua l'inno e poi sei salmi con le antifone,
finiti i quali e detto il versetto, l'abate dia la benedizione e, mentre tutti stanno seduti ai rispettivi posti, i fratelli leggano a turno dal lezionario posto sul leggio tre lezioni, intercalate da responsori cantati.
Due responsori si cantino senza il Gloria, ma dopo la terza lezione il cantore lo intoni
e allora tutti subito si alzino in piedi per l'onore e la riverenza dovuti alla Santa Trinità.
Quanto ai libri da leggere nell'Ufficio vigilare, siano tutti di autorità divina, sia dell'antico che del nuovo Testamento, compresi i relativi commenti, scritti da padri di sicura fama e genuina fede cattolica.
Dopo queste tre lezioni con i rispettivi responsori, seguano gli altri sei salmi da cantare con l'Alleluia
e dopo questi una lezione tratta dalle lettere di S. Paolo, da recitarsi a memoria, il versetto, la prece litanica, cioè il Kyrie eleison,
e così si metta fine all'Ufficio vigilare.
Capitolo X - L'Ufficio notturno dell'estate
Da Pasqua fino al principio di novembre si mantenga lo stesso numero di salmi, che è stato prescritto sopra;
eccetto che, a causa della brevità delle notti, non si leggano le lezioni dal lezionario, ma, invece di tre, se ne reciti a memoria una sola dell'antico Testamento seguita da un responsorio breve;
tutto il resto si svolga, come è già stato prescritto, cioè nell'Ufficio vigiliare non si dicano mai meno di dodici salmi, senza contare i salmi 3 e 94.
Capitolo XI - L'Ufficio notturno nelle Domeniche
Per l'Ufficio vigilare della domenica ci si alzi un po' prima.
Anche in questo caso si osservi un determinato ordine, cioè, dopo aver cantato sei salmi come abbiamo stabilito sopra ed essersi seduti tutti ordinatamente ai propri posti, si leggano sul lezionario quattro lezioni con i relativi responsori, secondo quanto abbiamo già detto;
solo al quarto responsorio il cantore intoni il Gloria e allora tutti si alzino subito in piedi con riverenza.
A queste lezioni seguano per ordine altri sei salmi con le antifone come i precedenti e il versetto.
Quindi si leggano di nuovo altre quattro lezioni con i propri responsori, secondo le norme precedenti.
Poi si recitino tre cantici, tratti dai libri dei Profeti a scelta dell'abate, che si devono cantare con l'Alleluia.
Detto quindi il versetto, con la benedizione dell'abate si leggano altre quattro lezioni del nuovo Testamento nel modo gi indicato.
Dopo il quarto responsorio l'abate intoni l'inno Te Deum laudamus,
finito il quale lo stesso abate legga la lezione dai Vangeli, mentre tutti stanno in piedi con la massima reverenza.
Al termine di questa lettura tutti rispondano Amen, poi l'abate prosegua immediatamente con l'inno Te decet laus e, recitata la preghiera di benedizione, si incomincino le lodi.
Quest'ordine dell'Ufficio vigiliare della domenica dev'essere mantenuto in ogni stagione, tanto d'estate che d'inverno,
salvo il caso deprecabile in cui i monaci si alzassero più tardi, nella quale circostanza bisognerà abbreviare le lezioni e i responsori.
Si stia però bene attenti che ciò non avvenga; ma se dovesse accadere, il responsabile di una simile negligenza ne faccia in coro degna riparazione a Dio.
Capitolo XII - Le lodi
Alle Lodi della domenica, prima di tutto si dica il salmo 66 tutto di seguito, senza antifona,
quindi il salmo 50 con l'Alleluia,
poi il 117 e il 62
quindi il cantico dei tre fanciulli nella fornace (il Benedicite), i salmi di lode, una lezione dell'Apocalisse a memoria, il responsorio, l'inno, il versetto, il cantico del Vangelo (il Benedictus) e la prece litanica con cui si finisce.
Capitolo XIII - Le lodi nei giorni feriali
Nei giorni feriali le Lodi si celebrino nel modo seguente:
si dica il salmo 66 senza antifona, recitandolo lentamente in modo che tutti possano essere presenti per il salmo 50, che deve dirsi con l'antifona.
Dopo di questi, si dicano altri due salmi secondo la consuetudine e cioè
al lunedì i salmi 5 e 35,
al martedì il 42 e il 56,
al mercoledì il 63 e il 64,
al giovedì l'87 e l'89,
al venerdì il 75 e il 91
e al sabato il 142 con il cantico del Deuteronomio, diviso in due parti dal Gloria.
In tutti gli altri giorni poi si dica il cantico profetico proprio di quel giorno, secondo l'uso della Chiesa romana.
Quindi seguano i salmi di lode, una breve lezione dell'Apostolo a memoria, il responsorio, l'inno, il versetto, il cantico del Vangelo, la prece litanica e così si termina.
Ma l'Ufficio delle Lodi e del Vespro non si chiuda mai senza che, secondo l'uso stabilito, alla fine, tra l'attenzione di tutti, il superiore reciti il Pater per le offese alla carità fraterna che avvengono di solito nella vita comune,
in modo che i presenti possano purificarsi da queste colpe, grazie all'impegno preso con la stessa preghiera nella quale dicono: "Rimetti a noi, come anche noi rimettiamo".
Nelle altre Ore, invece, si dica ad alta voce solo l'ultima parte del Pater, a cui tutti rispondano: "Ma liberaci dal male".
Capitolo XIV - L'Ufficio vigilare nelle feste dei Santi
Nelle feste dei Santi e in tutte le solennità si proceda come abbiamo stabilito per la domenica,
ad eccezione dei salmi, delle antifone e delle lezioni, che saranno proprie di quel giorno; si segua però l'ordine già fissato.
Capitolo XV - Quando si deve dire l'alleluia
L'Alleluia si dica sempre dalla santa Pasqua fino a Pentecoste, tanto nei salmi che nei responsori;
da Pentecoste poi sino al principio della Quaresima lo si dica soltanto negli ultimi sei salmi dell'Ufficio notturno.
Ma in tutte le domeniche che cadano fuori del tempo quaresimale i cantici, le Lodi, Prima, Terza, Sesta e Nona si dicano con l'Alleluia, mentre il Vespro avrà le antifone proprie.
I responsori, invece, non si dicano mai con l'Alleluia, se non da Pasqua a Pentecoste.
Capitolo XVI - La celebrazione dei divini Offici durante le ore del giorno
"Sette volte al giorno ti ho lodato", dice il profeta.
Questo sacro numero di sette sarà adempiuto da noi, se assolveremo i doveri del nostro servizio alle Lodi, a Prima, a Terza, a Sesta, a Nona, a Vespro e Compieta,
perché proprio di queste ore diurne il profeta ha detto: "Sette volte al giorno ti ho lodato".
Infatti nelle Vigilie notturne lo stesso profeta dice: "Nel mezzo della notte mi alzavo per lodarti".
Dunque in queste ore innalziamo lodi al nostro Creatore "per le opere della sua giustizia" e cioè alle lodi, a Prima, a Terza, a Sesta, a Nona, a Vespro e a Compieta e di notte alziamoci per celebrare la sua grandezza.
Capitolo XVII - Salmi delle ore del giorno
Abbiamo già stabilito l'ordine della salmodia per l'Ufficio notturno e per le Lodi; adesso provvediamo per le altre Ore.
All'ora di Prima si dicano tre salmi separatamente, ciascuno con il proprio Gloria
e l'inno della stessa Ora segua il versetto Deus in adiutorium prima di iniziare i salmi.
Finiti i tre salmi, si reciti una sola lezione, il versetto, il Kyrie eleison e le preci finali.
A Terza, a sesta e a Nona si celebri l'Ufficio secondo lo stesso ordine e cioè il versetto iniziale, gli inni delle rispettive Ore, tre salmi, la lezione, il versetto, il Kyrie eleison e le preci finali.
Se la comunità fosse numerosa, si salmeggi con le antifone, altrimenti si recitino i salmi tutti di seguito.
L'Ufficio del Vespro comprenda quattro salmi con le antifone,
dopo i quali si reciti la lezione, quindi il responsorio, l'inno, il versetto, il cantico del Vangelo, il Kyrie e il Pater, a cui segue il congedo.
Compieta, infine, consista in tre salmi di seguito, senza antifona,
ai quali segua l'inno della medesima ora, una sola lezione, il versetto, il Kyrie eleison e la benedizione con cui si conclude.
Capitolo XVIII - L'ordine dei salmi nelle ore del giorno
Prima di tutto si dica il versetto: "O Dio, vieni in mio soccorso; Signore, affrettati ad aiutarmi", il Gloria e poi l'inno di ciascuna Ora.
A Prima della domenica si dicano quattro strofe del salmo 118;
alle altre Ore, cioè a Terza, Sesta e Nona, si dicano tre strofe per volta dello stesso salmo.
A Prima del lunedì si recitino tre salmi e cioè il salmo 1, il 2 e il 6;
e così nei giorni successivi fino alla domenica si dicano di seguito tre salmi fino al 19, in modo però che il 9 e il 17 si dividano in due.
Così le vigilie domenicali cominceranno sempre con il salmo 20.
A Terza, Sesta e Nona del lunedì si dicano le ultime nove strofe del salmo 118, tre per ciascuna Ora.
Esaurito questo salmo in due giorni, cioè alla domenica e al lunedì,
a Terza, Sesta e Nona del martedì si recitino rispettivamente tre salmi dal 119 al 127, cioè in tutto nove salmi.
Questi vengano sempre ripetuti allo stesso modo nelle medesime Ore fino alla domenica, lasciando però invariati gli inni, le lezioni e i versetti per tutte le Ore della settimana,
in modo che alla domenica si cominci sempre dal salmo 118.
Il Vespro poi si celebri ogni giorno con il canto di quattro salmi,
dal 109 fino al 147;
eccettuando quelli che sono riservati alle altre Ore, cioè i salmi 117-127, 133 e 142,
tutti gli altri si dicano a Vespro.
E poiché vengono a mancare tre salmi, si dividano i più lunghi del gruppo indicato, ossia il 138, il 143 e il 144.
Il 116, invece, che è il più breve, venga unito al 115.
Stabilito così l'ordine della salmodia vespertina, tutto il resto, cioè la lezione, il responsorio, l'inno, il versetto e il cantico, si dica come abbiamo disposto sopra.
A Compieta, infine, si ripetano tutti i giorni gli stessi salmi e cioè il 4, il 90 e il 133.
Una volta fissato l'ordine della salmodia di tutti i salmi rimanenti vengano distribuiti in parti uguali nei sette Uffici notturni,
dividendo quelli più lunghi e assegnandone dodici per notte.
Ci teniamo però ad avvertire che, se qualcuno non trovasse conveniente tale distribuzione dei salmi, li disponga pure come meglio crede,
purché badi bene di fare in modo che in tutta la settimana si reciti l'intero salterio di centocinquanta salmi e con l'Ufficio vigiliare della domenica si ricominci sempre da capo.
Infatti i monaci, che in una settimana salmeggiano meno dell'intero salterio con i cantici consueti, danno prova di grande indolenza e fiacchezza nel servizio a cui sono consacrati,
dato che dei nostri padri si legge che in un sol giorno adempivano con slancio e fervore quanto è augurabile che noi tiepidi riusciamo a eseguire in una settimana.
Capitolo XIX - La partecipazione interiore all'Ufficio divino
Sappiamo per fede che Dio è presente dappertutto e che "gli occhi del Signore guardano in ogni luogo i buoni e i cattivi",
ma dobbiamo crederlo con assoluta certezza e senza la minima esitazione, quando prendiamo parte all'Ufficio divino.
Perciò ricordiamoci sempre di quello che dice il profeta: "Servite il Signore nel timore"
e ancora: "Lodatelo degnamente"
e ancora: " Ti canterò alla presenza degli angeli".
Consideriamo dunque come bisogna comportarsi alla presenza di Dio e dei suoi Angeli
e partecipiamo alla salmodia in modo tale che l'intima disposizione dell'animo si armonizzi con la nostra voce.
Capitolo XX - La riverenza nella preghiera
Se quando dobbiamo chiedere un favore a qualche personaggio, osiamo farlo solo con soggezione e rispetto,
quanto più dobbiamo rivolgere la nostra supplica a Dio, Signore di tutte le cose, con profonda umiltà e sincera devozione.
Bisogna inoltre sapere che non saremo esauditi per le nostre parole, ma per la purezza del cuore e la compunzione che strappa le lacrime.
Perciò la preghiera dev'essere breve e pura, a meno che non venga prolungata dall'ardore e dall'ispirazione della grazia divina.
Ma quella che si fa in comune sia brevissima e quando il superiore dà il segno, si alzino tutti insieme.
Capitolo XXI - I decani del monastero
Se la comunità è abbastanza numerosa, si scelgano in essa alcuni monaci di buon esempio e di santa vita per costituirli decani;
essi vigileranno premurosamente, secondo le leggi di Dio e gli ordini dell'abate sui gruppi di dieci fratelli affidati alle loro rispettive cure.
Come decani devono essere eletti quei monaci con i quali l'abate possa tranquillamente condividere i suoi pesi
e in tale scelta non bisogna tener conto dell'ordine di anzianità, ma regolarsi solo in considerazione della condotta esemplare e della scienza delle cose di Dio.
Se poi fra questi decani ce ne fosse qualcuno che, montato un po' in superbia, dovesse essere ripreso, sia rimproverato una prima, una seconda e una terza volta e, se non vorrà correggersi,
venga sostituito con un altro veramente degno.
La stessa cosa stabiliamo per il priore.
Capitolo XXII - Il dormitorio dei monaci
Ciascun monaco dorma in un letto proprio
e ne riceva la fornitura conforme alle consuetudini monastiche e secondo quanto disporrà l'abate.
Se è possibile dormano tutti nello stesso locale, ma se il numero rilevante non lo permette, riposino a dieci o venti per ambiente insieme con gli anziani incaricati della sorveglianza.
Nel dormitorio rimanga sempre accesa una lampada fino al mattino.
Dormano vestiti, con ai fianchi semplici cinture o corde, senza portare coltelli appesi al lato mentre riposano, per non ferirsi nel sonno.
Così i monaci siano sempre pronti e, appena dato il segnale, alzandosi senza indugio si affrettino a prevenirsi vicendevolmente per l'Ufficio divino, ma sempre con la massima gravità e modestia.
I più giovani non abbiano i letti vicini, ma alternati con quelli dei più anziani.
Quando poi si alzano per l'Ufficio divino, si esortino garbatamente a vicenda per prevenire le scuse degli assonnati.
Capitolo XXIII - La scomunica per le colpe
Se qualche fratello si dimostrerà ribelle o disobbediente o superbo o mormoratore, o assumerà un atteggiamento di ostilità e di disprezzo nei confronti di qualche punto della santa Regola o degli ordini dei superiori,
questi lo rimproverino una prima e una seconda volta in segreto, secondo il precetto del Signore.
Se non si migliorerà, venga ripreso pubblicamente di fronte a tutti.
Ma nel caso che anche questo provvedimento si dimostri inefficace, sia scomunicato, purché sia in grado di valutare la portata di una tale punizione.
Se invece difetta di una sufficiente sensibilità, sia sottoposto al castigo corporale.
Capitolo XXIV - La misura della scomunica
La scomunica e, in genere, la punizione disciplinare dev'essere proporzionata alla gravità della colpa
e ciò è di competenza dell'abate.
Però il monaco che avrà commesso mancanze meno gravi sia escluso dalla mensa comune.
Il trattamento inflitto a chi viene escluso dalla mensa è il seguente: in coro non intoni salmo, né antifona, né reciti lezioni fino a quando non avrà riparato alle sue mancanze;
mangi da solo dopo la comunità,
sicché se, per esempio, i monaci pranzano all'ora di Sesta, egli mangi a Nona; se pranzano a Nona, egli a Vespro,
fino a quando avrà ottenuto il perdono con una conveniente riparazione.
Capitolo XXV - Le colpe più gravi
Il monaco colpevole di mancanze più gravi sia invece sospeso oltre che dalla mensa anche dal coro.
Nessuno lo avvicini per fargli compagnia o parlare di qualsiasi cosa.
Attenda da solo al lavoro che gli sarà assegnato e rimanga nel lutto della penitenza, consapevole della terribile sentenza dell'apostolo che dice:
"Costui è stato consegnato alla morte della carne, perché la sua anima sia salva nel giorno del Signore".
Prenda il suo cibo da solo nella quantità e nell'ora che l'abate giudicherà più conveniente per lui;
non sia benedetto da chi lo incontra e non si benedica neppure il cibo che gli viene dato.
Capitolo XXVI - Rapporti dei confratelli con gli scomunicati
Se qualche monaco oserà avvicinare in qualche modo un fratello scomunicato, o parlare con lui, o inviargli un messaggio, senza l'autorizzazione dell'abate,
incorra nella medesima punizione.
Capitolo XXVII - La sollecitudine dell'abate per gli scomunicati
L'abate deve prendersi cura dei colpevoli con la massima sollecitudine, perché "non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati".
Perciò deve agire come un medico sapiente, inviando in qualità di amici fidati dei monaci anziani e prudenti
che quasi inavvertitamente confortino il fratello vacillante e lo spingano a un'umile riparazione, incoraggiandolo perché "non sia sommerso da eccessiva tristezza",
in altre parole "gli usi maggiore carità", come dice l'Apostolo "e tutti preghino per lui".
Bisogna che l'abate sia molto vigilante e si impegni premurosamente con tutta l'accortezza e la diligenza di cui è capace per non perdere nessuna delle pecorelle a lui affidate.
Sia pienamente cosciente di essersi assunto il compito di curare anime inferme e non di dover esercitare il dominio sulle sane
e consideri con timore il severo oracolo del profeta per bocca del quale il Signore dice: "Ciò che vedevate pingue lo prendevate; ciò invece che era debole lo gettavate via".
Imiti piuttosto la misericordia del buon Pastore che, lasciate sui monti le novantanove pecore, andò alla ricerca dell'unica che si era smarrita
ed ebbe tanta compassione della sua debolezza che si degnò di caricarsela sulle sue sacre spalle e riportarla così all'ovile.
Capitolo XXVIII - La procedura nei confronti degli ostinati
Se un monaco, già ripreso più volte per una qualsiasi colpa, non si correggerà neppure dopo la scomunica, si ricorra a una punizione ancor più severa e cioè al castigo corporale.
Ma se neppure così si emenderà o - non sia mai! - montato in superbia pretenderà persino di difendere il suo operato, l'abate si regoli come un medico provetto,
ossia, dopo aver usato i linimenti e gli unguenti delle esortazioni, i medicamenti delle Scritture divine e, infine, la cauterizzazione della scomunica e le piaghe delle verghe,
vedendo che la sua opera non serve a nulla, si affidi al rimedio più efficace e cioè alla preghiera sua e di tutta la comunità
per ottenere dal Signore che tutto può la salvezza del fratello.
Se, però, nemmeno questo tentativo servirà a guarirlo, l'abate, metta mano al ferro del chirurgo, secondo quanto dice l'apostolo: "Togliete di mezzo a voi quel malvagio"
e ancora: "Se l'infedele vuole andarsene, vada pure",
perché una pecora infetta non debba contagiare tutto il gregge.
Capitolo XXIX - La riammissione dei fratelli che hanno lasciato il monastero
Il monaco, che, dopo aver lasciato per propria colpa il monastero, volesse ritornarvi, prometta anzitutto di correggersi definitivamente dalla colpa per la quale è uscito
e a questa condizione sia ricevuto all'ultimo posto per provare la sua umiltà.
Se poi uscisse di nuovo sia riammesso fino alla terza volta, ma sappia che in seguito gli sarà negata ogni possibilità di ritorno.
Capitolo XXX - La correzione dei ragazzi
Ogni età e intelligenza dev'essere trattata in modo adeguato.
Perciò i bambini e gli adolescenti e quelli che non sono in grado di comprendere la gravità della scomunica,
quando commettono qualche colpa siano puniti con gravi digiuni o repressi con castighi corporali, perché si correggano.
Capitolo XXXI - Il cellerario del monastero
Come cellerario del monastero si scelga un fratello saggio, maturo, sobrio, che non ecceda nel mangiare e non abbia un carattere superbo, turbolento, facile alle male parole, indolente e prodigo,
ma sia timorato di Dio e un vero padre per la comunità.
Si prenda cura di tutto e di tutti.
Non faccia nulla senza il permesso dell'abate
ed esegua fedelmente gli ordini ricevuti.
Non dia ai fratelli motivo di irritarsi e,
se qualcuno di loro avanzasse pretese assurde, non lo mortifichi sprezzantemente, ma sappia respingere la richiesta inopportuna con ragionevolezza e umiltà.
Custodisca l'anima sua, ricordandosi sempre di quella sentenza dell'apostolo che dice: "Chi avrà esercitato bene il proprio ministero, si acquisterà un grado onorevole".
Si interessi dei malati, dei ragazzi, degli ospiti e dei poveri con la massima diligenza, ben sapendo che nel giorno del giudizio dovrà rendere conto di tutte queste persone affidate alle sue cure.
Tratti gli oggetti e i beni del monastero con la reverenza dovuta ai vasi sacri dell'altare
e non tenga nulla in poco conto.
Non si lasci prendere dall'avarizia né si abbandoni alla prodigalità, ma agisca sempre con criterio e secondo le direttive dell'abate.
Soprattutto sia umile e se non può concedere quanto gli è stato richiesto, dia almeno una risposta caritatevole,
perché sta scritto: "Una buona parola vale più del migliore dei doni".
Si interessi solo delle incombenze che gli ha affidato l'abate, senza ingerirsi in quelle da cui lo ha escluso.
Distribuisca ai fratelli la porzione di vitto prestabilita senza alterigia o ritardi, per non dare motivo di scandalo, ricordandosi di quello che toccherà, secondo la divina promessa, a "chi avrà scandalizzato uno di questi piccoli".
Se la comunità fosse numerosa, gli si concedano degli aiuti con la cui collaborazione possa svolgere serenamente il compito che gli è stato assegnato.
Nelle ore fissate si distribuisca quanto si deve dare e si chieda quello che si deve chiedere,
in modo che nella casa di Dio non ci sia alcun motivo di turbamento o di malcontento.
Capitolo XXXII - Gli arnesi e gli oggetti del monastero
Per la cura di tutto quello che il monastero possiede di arnesi, vesti o qualsiasi altro oggetto l'abate scelga dei monaci su cui possa contare a motivo della loro vita virtuosa
e affidi loro i singoli oggetti nel modo che gli sembrerà più opportuno, perché li custodiscano e li raccolgano.
Tenga l'inventario di tutto, in maniera che, quando i vari monaci si succedono negli incarichi loro assegnati, egli sappia che cosa dà e che cosa riceve.
Se poi qualcuno trattasse con poca pulizia o negligenza le cose del monastero, venga debitamente rimproverato;
nel caso che non si corregga, sia sottoposto alle punizioni previste dalla Regola.
Capitolo XXXIII - Il "vizio" della proprietà
Nel monastero questo vizio dev'essere assolutamente stroncato fin dalle radici,
sicché nessuna si azzardi a dare o ricevere qualche cosa senza il permesso dell'abate,
né pensi di avere nulla di proprio, assolutamente nulla, né un libro, né un quaderno o un foglio di carta e neppure una matita,
dal momento che ai monaci non è più concesso di disporre liberamente neanche del proprio corpo e della propria volontà,
ma bisogna sperare tutto il necessario dal padre del monastero e non si può tenere presso di sé alcuna cosa che l'abate che l'abate non abbia dato o permesso.
"Tutto sia comune a tutti", come dice la Scrittura, e "nessuno dica o consideri propria qualsiasi cosa".
Se poi si scoprisse qualcuno che si compiace in questo pessimo vizio, bisognerà rimproverarlo una prima e una seconda volta
e, nel caso che non si corregga, infliggergli il dovuto castigo.
Capitolo XXXIV - La distribuzione del necessario
"Si distribuiva a ciascuno proporzionatamente al bisogno", si legge nella Scrittura.
Con questo non intendiamo che si debbano fare preferenze - Dio ce ne liberi! - ma che si tenga conto delle eventuali debolezze;
quindi chi ha meno necessità, ringrazi Dio senza amareggiarsi,
mentre chi ha maggiori bisogni, si umili per la propria debolezza, invece di montarsi la testa per le attenzioni di cui è fatto oggetto
e così tutti i membri della comunità staranno in pace.
Soprattutto bisogna evitare che per qualsiasi motivo faccia la sua comparsa il male della mormorazione, sia pure attraverso una parola o un gesto.
E, nel caso che se ne trovi colpevole qualcuno, sia punito con maggior rigore.
Capitolo XXXV - Il servizio della cucina
I fratelli si servano a vicenda e nessuno sia dispensato dal servizio della cucina, se non per malattia o per un impegno di maggiore importanza,
perché così si acquista un merito più grande e si accresce la carità.
Ma i più deboli siano provveduti di un aiuto, in modo da non dover compiere questo servizio di malumore;
anzi, è bene che, in generale, tutti abbiano degli aiuti in corrispondenza alla grandezza della comunità e alle condizioni locali.
In una comunità numerosa il cellerario sia dispensato dal servizio della cucina, come anche i fratelli che, secondo quanto abbiamo già detto, sono occupati in compiti di maggiore utilità,
ma tutti gli altri si servano a vicenda con carità.
Al sabato il monaco che termina il suo turno settimanale, faccia le pulizie.
Si lavino gli asciugatoi usati dai fratelli per le mani e i piedi.
Tanto il monaco che finisce il servizio, quanto quello che lo comincia, lavino i piedi a tutti.
Il primo consegni puliti e intatti al cellerario tutti gli utensili di cui si è servito nel proprio turno.
A sua volta il cellerario li affidi al fratello che entra in servizio, in modo da sapere quello che dà e quello che riceve.
Un'ora prima del pranzo, ciascuno dei monaci di turno in cucina riceva, oltre la quantità di cibo stabilita per tutti, un po' di pane e di vino,
per poter poi all'ora del pranzo servire i propri fratelli senza lamentele né grave disagio;
ma nei giorni festivi aspettino fino al termine della celebrazione eucaristica.
Alla domenica, subito dopo le Lodi, quelli che iniziano e quelli che terminano il servizio della cucina si inginocchino in coro davanti a tutti, chiedendo che preghino per loro.
Chi ha finito il proprio turno reciti il versetto: "Sii benedetto, Signore Dio, che mi hai aiutato e mi hai consolato".
E quando lo avrà ripetuto tre volte e avrà ricevuto la benedizione, continui il fratello che gli succede nel servizio, dicendo: "O Dio, vieni in mio soccorso; Signore, affrettati ad aiutarmi";
anche questo versetto sarà ripetuto tre volte da tutti, dopo di che il fratello riceverà la benedizione e inizierà il suo turno.
Capitolo XXXVI - I fratelli infermi
L'assistenza agli infermi deve avere la precedenza e la superiorità su tutto, in modo che essi siano serviti veramente come Cristo in persona,
il quale ha detto di sé: "Sono stato malato e mi avete visitato",
e: "Quello che avete fatto a uno di questi piccoli, lo avete fatto a me".
I malati però riflettano, a loro volta, che sono serviti per amore di Dio e non opprimano con eccessive pretese i fratelli che li assistono,
ma comunque bisogna sopportarli con grande pazienza, poiché per mezzo loro si acquista un merito più grande.
Quindi l'abate vigili con la massima attenzione perché non siano trascurati sotto alcun riguardo.
Per i monaci ammalati ci sia un locale apposito e un infermiere timorato di Dio, diligente e premuroso.
Si conceda loro l'uso dei bagni, tutte le volte che ciò si renderà necessario a scopo terapeutico; ai sani, invece, e specialmente ai più giovani venga consentito più raramente.
I malati più deboli avranno anche il permesso di mangiare carne per potersi rimettere in forze; però, appena ristabiliti, si astengano tutti dalla carne come al solito.
Ma la più grande preoccupazione dell'abate deve essere che gli infermi non siano trascurati dal cellerario e dai fratelli che li assistono, perché tutte le negligenze commesse dai suoi discepoli ricadono su di lui.