Capitolo XXXVII - I vecchi e i ragazzi

Benché la stessa natura umana sia portata alla compassione per queste due età, dei vecchi, cioè, e dei ragazzi, bisogna che se ne interessi anche l'autorità della Regola.

Si tenga sempre conto della loro fragilità e, per quanto riguarda i cibi, non siano affatto obbligati all'austerità della Regola,

Ma, con amorevole indulgenza, si conceda loro un anticipo sulle ore fissate per i pasti.

Capitolo XXXVIII - La lettura in refettorio

Alla mensa dei monaci non deve mai mancare la lettura, né è permesso di leggere a chiunque abbia preso a caso un libro qualsiasi, ma bisogna che ci sia un monaco incaricato della lettura, che inizi il suo compito alla domenica.

Dopo la Messa e la comunione, il lettore che entra in funzione si raccomandi nel coro alle preghiere dei fratelli, perché Dio lo tenga lontano da ogni tentazione di vanità;

e tutti ripetano per tre volte il versetto: "Signore apri le mie labbra e la mia bocca annunzierà la tua lode", che è stato intonato dal lettore stesso,

il quale, dopo aver ricevuta così la benedizione, potrà iniziare il proprio turno.

Nel refettorio regni un profondo silenzio, in modo che non si senta alcun bisbiglio o voce, all'infuori di quella del lettore.

I fratelli si porgano a vicenda il necessario per mangiare e per bere, senza che ci sia bisogno di chiedere nulla.

Se poi proprio occorresse qualche cosa, invece che con la voce, si chieda con un leggero rumore che serva da richiamo.

E nessuno si permetta di fare delle domande sulla lettura o su qualsiasi altro argomento, per non offrire occasione di parlare,

a meno che il superiore non ritenga opportuno di dire poche parole di edificazione.

Prima di iniziare la lettura, il monaco di turno prenda un po' di vino aromatico, sia per rispetto alla santa Comunione, sia per evitare che il digiuno gli pesi troppo,

e poi mangi con i fratelli che prestano servizio in cucina e in refettorio.

Però i monaci non devono leggere e cantare tutti secondo l'ordine di anzianità, ma questo incarico va affidato solo a coloro che sono in grado di edificare i propri ascoltatori.

Capitolo XXXIX - La misura del cibo

Volendo tenere il debito conto delle necessità individuali, riteniamo che per il pranzo quotidiano fissato - a seconda delle stagioni - dopo Sesta o dopo Nona, siano sufficienti due pietanze cotte,

in modo che chi eventualmente non fosse in condizioni di prenderne una, possa servirsi dell'altra.

Dunque a tutti i fratelli devono bastare due pietanze cotte e se ci sarà la possibilità di procurarsi della frutta o dei legumi freschi, se ne aggiunga una terza.

Quanto al pane penso che basti un chilo abbondante al giorno, sia quando c'è un solo pasto, che quando c'è pranzo e cena.

In quest'ultimo caso il cellerario ne metta da parte un terzo per distribuirlo a cena.

Nel caso che il lavoro quotidiano sia stato più gravoso del solito, se l'abate lo riterrà opportuno, avrà piena facoltà di aggiungere un piccolo supplemento,

purché si eviti assolutamente ogni abuso e il monaco si guardi dall'ingordigia.

Perché nulla è tanto sconveniente per un cristiano, quanto gli eccessi della tavola,

come dice lo stesso nostro Signore: "State attenti che il vostro cuore non sia appesantito dal troppo cibo".

Quanto poi ai ragazzi più piccoli, non si serva loro la medesima porzione, ma una quantità minore, salvaguardando in tutto la sobrietà.

Tutti infine si astengano assolutamente dalla carne di quadrupedi, a eccezione dei malati molto deboli.

Capitolo XL - La misura del vino

"Ciascuno ha da Dio il proprio dono, chi in un modo, chi in un altro"

ed è questo il motivo per cui fissiamo la quantità del vitto altrui con una certa perplessità.

Tuttavia, tenendo conto della cagionevole costituzione dei più gracili, crediamo che a tutti possa bastare un quarto di vino a testa.

Quanto ai fratelli che hanno ricevuto da Dio la forza di astenersene completamente, sappiano che ne riceveranno una particolare ricompensa.

Se però le esigenze locali o il lavoro o la calura estiva richiedessero una maggiore quantità, sia in facoltà del superiore concederla, badando sempre a evitare la sazietà e ancor più l'ubriachezza.

Per quanto si legga che il vino non è fatto per i monaci, siccome oggi non è facile convincerli di questo, mettiamoci almeno d'accordo sulla necessità di non bere fino alla sazietà, ma più moderatamente,

perché "il vino fa apostatare i saggi".

I monaci poi che risiedono in località nelle quali è impossibile procurarsi la suddetta misura, ma se ne trova solo una quantità molto minore o addirittura nulla, benedicano Dio e non mormorino:

è questo soprattutto che mi preme di raccomandare, che si guardino dalla mormorazione.

Capitolo XLI - L'orario dei pasti

Dalla santa Pasqua fino a Pentecoste i fratelli pranzino all'ora di Sesta, cioè a mezzogiorno, e cenino la sera.

Invece da Pentecoste in poi, per tutta l'estate, se non sono impegnati nei lavori agricoli o sfibrati dalla calura estiva, al mercoledì e al venerdì digiunino sino all'ora di Nona, cioè fin dopo le 14

e negli altri giorni pranzino all'ora di Sesta.

Ma nel caso che abbiano da lavorare nei campi o che il caldo sia eccessivo, potranno pranzare tutti i giorni alle 12, secondo quanto stabilirà paternamente l'abate.

Così questi regoli e disponga tutto in modo che le anime si salvino e i monaci possano compiere il proprio dovere senza un motivo fondato di mormorazione.

Dal 14 settembre fino all'inizio della Quaresima pranzino sempre all'ora di Nona.

Durante la Quaresima, poi, fino a Pasqua pranzino all'ora di Vespro:

questo Ufficio però dev'essere celebrato a un'ora tale da non aver bisogno di accendere il lume durante il pranzo e poter terminare mentre è ancora giorno.

Anzi, in ogni stagione, sia l'ora del pranzo che quella della cena devono essere fissate in maniera che tutto si possa fare con la luce del sole.

Capitolo XLII - Il silenzio dopo compieta

I monaci devono custodire sempre il silenzio con amore, ma soprattutto durante la notte.

Perciò in ogni periodo dell'anno, sia di digiuno oppure no, si procederà nel modo seguente:

se non si digiuna, appena alzati da cena, i monaci si riuniscano tutti insieme e uno di loro legga le Conferenze o le Vite dei Padri o qualche altra opera di edificazione,

ma non i primi sette libri della Bibbia e neppure quelli dei Re, perché ai temperamenti impressionabili non fa bene ascoltare a quell'ora i suddetti testi scritturistici, che però si dovranno leggere in altri momenti;

se invece fosse giorno di digiuno, dopo la celebrazione dei Vespri e un breve intervallo, vadano direttamente alla lettura di cui abbiamo parlato

e leggano quattro o cinque pagine o quanto è consentito dal tempo a disposizione,

perché durante questo intervallo della lettura possano radunarsi tutti, compresi quelli che fossero eventualmente stati occupati in qualche incombenza.

Quando saranno tutti riuniti, dicano insieme Compieta, all'uscita dalla quale non sia più permesso ad alcuno di pronunciare una parola.

Chiunque sia colto a trasgredire questa regola del silenzio venga severamente punito,

eccetto il caso in cui sopraggiungano degli ospiti o l'abate abbia dato un ordine a un monaco;

ma anche in questa eventualità bisogna procedere con la massima gravità e il debito riserbo.

Capitolo XLIII - La puntualità nell'Ufficio divino e in refettorio

All'ora dell'Ufficio divino, appena si sente il segnale, lasciato tutto quello che si ha tra le mani, si accorra con la massima sollecitudine,

ma nello stesso tempo con gravità, per non dare adito alla leggerezza.

In altre parole non si anteponga nulla all'opera di Dio".

Se qualcuno arriva all'Ufficio notturno dopo il Gloria del salmo 94, che proprio per questo motivo vogliamo sia cantato molto lentamente e con pause, non occupi il proprio posto nel coro,

ma si metta all'ultimo o in quella parte che l'abate avrà destinato per questi negligenti, perché siano veduti da lui e da tutti,

e vi rimanga fino a quando, al termine del l'Ufficio divino, avrà riparato dinanzi a tutta la comunità con una penitenza.

Abbiamo ritenuto opportuno far rimanere questi ritardatari all'ultimo posto o in un canto, perché si correggano almeno per la vergogna di essere visti da tutti.

Se, infatti, rimanessero fuori del coro, ci potrebbe essere qualcuno che ritorna a dormire o si siede fuori o si mette a chiacchierare, dando così occasione al demonio;

è bene invece che entrino, in modo da non perdere tutto l'Ufficio e correggersi per l'avvenire.

Nelle Ore del giorno, invece, il monaco che arriva all'Ufficio divino dopo il versetto o il Gloria del primo salmo, che segue lo stesso versetto, si metta all'ultimo posto, secondo la norma precedente,

e non si permetta di unirsi al coro dei fratelli che salmeggiano, fino a che non avrà riparato, a meno che l'abate gliene dia il permesso con il suo perdono;

ma anche in questo caso il ritardatario dovrà riparare la sua mancanza.

Per quanto riguarda il refettorio, chi non arriva prima del versetto in modo che tutti uniti dicano il versetto stesso, preghino e poi siedano insieme a mensa,

se la mancanza è dovuta a negligenza o cattiva volontà, sia rimproverato fino a due volte.

Ma se ancora non si corregge, sia escluso dalla mensa comune

e mangi da solo, separato dalla comunità e senza la sua razione di vino, fino a che non abbia riparato e si sia corretto.

Lo stesso castigo sia inflitto al monaco che non si trovi presente al versetto che si recita dopo il pranzo.

Nessuno poi si permetta di mangiare o di bere qualcosa prima dell'ora stabilita.

Ma il monaco che non avesse accettato ciò che gli era stato offerto dal superiore, quando desidererà quello che ha rifiutato in precedenza o altro, non ottenga assolutamente nulla fino a che non dimostri di essersi debitamente corretto.

Capitolo XLIV - La riparazione degli scomunicati

Il monaco che per colpe gravi è stato escluso dal coro e della mensa comune, al termine dell'Ufficio divino si prostri in silenzio davanti alla porta del coro,

rimanendo lì disteso con la faccia a terra dinanzi a tutti quelli che escono

e continui a fare in questo modo fino a quando l'abate non giudichi che ha sufficientemente riparato.

Quando poi sarà chiamato dall'abate, si getti ai piedi di lui e di tutti i fratelli per chiedere le loro preghiere.

Allora, se l'abate vorrà, potrà essere riammesso in coro al suo posto o a quello designato dallo stesso abate,

senza permettersi, però, di recitare un salmo, una lezione o altro, a meno che l'abate glielo ordini.

Inoltre al termine di tutte le Ore dell'Ufficio divino, si prostri a terra lì dove si trova

e faccia così la sua riparazione, finché l'abate non metterà fine a questa penitenza.

Quelli, invece, che per colpe più leggere sono stati esclusi solo dalla mensa, facciano penitenza in coro per il tempo stabilito dall'abate

e la ripetano fin tanto che questi li benedica e dica: Basta!

Capitolo XLV - La riparazione per gli errori commessi in coro

Se un monaco commette un errore mentre recita un salmo, un responsorio, un'antifona o una lezione e non si umilia davanti a tutti con una penitenza, sia sottoposto a una punizione più severa,

perché non ha voluto correggersi umilmente dell'errore commesso per negligenza.

Nel caso dei ragazzi, invece, per una colpa di questo genere si ricorra al castigo corporale.

Capitolo XLVI - La riparazione per le altre mancanze

Se, mentre è impegnato in un qualsiasi lavoro in cucina, in dispensa, nel proprio servizio, nel forno, nell'orto, in qualche attività o si trova in un altro luogo qualunque, un monaco commette uno sbaglio,

rompe o perde un oggetto o incorre comunque in una mancanza

e non si presenta subito all'abate e alla comunità per riparare spontaneamente e confessare la propria colpa,

sarà sottoposto a una punizione più severa, quando il fatto verrà reso noto da altri.

Ma se il movente segreto del peccato fosse nascosto nell'intimo della coscienza, lo manifesti solo all'abate o a qualche monaco anziano,

che sappia curare le miserie proprie e altrui senza svelarle e renderle di pubblico dominio.

Capitolo XLVII - Il segnale per l'Ufficio divino

Bisogna che l'abate si assuma personalmente il compito di dare il segnale per l'Ufficio divino, oppure lo affidi a un monaco diligente in modo che tutto avvenga regolarmente nelle ore fissate.

L'intonazione dei salmi e delle antifone, secondo l'ordine prestabilito, spetta, dopo l'abate, ai monaci appositamente designati.

E nessuno si permetta di cantare o di leggere all'infuori di chi è capace di farlo in maniera da edificare i suoi ascoltatori;

inoltre questo compito dev'essere svolto con umiltà, gravità e reverenza e solo dietro incarico dell'abate.

Capitolo XLVIII - Il lavoro quotidiano

L'ozio è nemico dell'anima, perciò i monaci devono dedicarsi al lavoro in determinate ore e in altre, pure prestabilite, allo studio della parola di Dio.

Quindi pensiamo di regolare gli orari di queste due attività fondamentali nel modo seguente:

da Pasqua fino al 14 settembre, al mattino verso le 5 quando escono da Prima, lavorino secondo le varie necessità fino alle 9;

dalle 9 fino all'ora di Sesta si dedichino allo studio della parola di Dio.

Dopo l'Ufficio di Sesta e il pranzo, quando si alzano da tavola, riposino nei rispettivi letti in assoluto silenzio e, se eventualmente qualcuno volesse leggere per proprio conto, lo faccia in modo da non disturbare gli altri.

Si celebri Nona con un po' di anticipo, verso le 14, e poi tutti riprendano il lavoro assegnato dall'obbedienza fino all'ora di Vespro.

Ma se le esigenze locali o la povertà richiedono che essi si occupino personalmente della raccolta dei prodotti agricoli, non se ne lamentino,

perché i monaci sono veramente tali, quando vivono del lavoro delle proprie mani come i nostri padri e gli Apostoli.

Tutto però si svolga con discrezione, in considerazione dei più deboli.

Dal 14 settembre, poi, fino al principio della Quaresima, si applichino allo studio fino alle 9,

quando celebreranno l'ora di Terza, dopo la quale tutti saranno impegnati nei rispettivi lavori fino a Nona, e cioè alle 14.

Al primo segnale di Nona, ciascuno interrompa il proprio lavoro per essere pronto al suono del secondo segnale.

Dopo il pranzo si dedichino alla lettura personale o allo studio dei salmi.

Durante la Quaresima leggano dall'alba fino alle 9 inoltrate e poi lavorino in conformità agli ordini ricevuti fino verso le 4 pomeridiane.

In quei giorni di Quaresima ciascuno riceva un libro dalla biblioteca e lo legga ordinatamente da cima a fondo.

I suddetti libri devono essere distribuiti all'inizio della Quaresima.

E per prima cosa bisognerà incaricare uno o due monaci anziani di fare il giro del monastero nelle ore in cui i fratelli sono occupati nello studio,

per vedere se per caso ci sia qualche monaco indolente, che, invece di dedicarsi allo studio, perda, tempo oziando e chiacchierando e quindi, oltre a essere improduttivo per sé, distragga anche gli altri.

Se si trovasse - non sia mai! - un fratello che si comporta in questo modo, sia rimproverato una prima e una seconda volta,

ma se non si corregge, gli si infligga una punizione prevista dalla Regola, in modo da incutere anche negli altri un salutare timore.

Non è neppure permesso che un monaco si trovi con un altro fuori del tempo stabilito.

Anche alla domenica si dedichino tutti allo studio della parola di Dio, a eccezione di quelli destinati ai vari servizi.

Ma se ci fosse qualcuno tanto negligente e fannullone da non volere o poter studiare o leggere, gli si dia qualche lavoro da fare, perché non rimanga in ozio.

Infine ai monaci infermi o cagionevoli si assegni un lavoro o un'attività che non li lasci nell'inazione e nello stesso tempo non li sfinisca per l'eccessiva fatica, spingendoli ad andarsene,

poiché l'abate ha il dovere di tener conto della loro debolezza.

Capitolo XLIX - La quaresima dei monaci

Anche se è vero che la vita del monaco deve avere sempre un carattere quaresimale,

visto che questa virtù è soltanto di pochi, insistiamo particolarmente perché almeno durante la Quaresima ognuno vigili con gran fervore sulla purezza della propria vita,

profittando di quei santi giorni per cancellare tutte le negligenze degli altri periodi dell'anno.

E questo si realizza degnamente, astenendosi da ogni peccato e dedicandosi con impegno alla preghiera accompagnata da lacrime di pentimento, allo studio della parola di Dio, alla compunzione del cuore e al digiuno.

Perciò durante la Quaresima aggiungiamo un supplemento al dovere ordinario del nostro servizio, come, per es., preghiere particolari, astinenza nel mangiare o nel bere,

in modo che ognuno di noi possa di propria iniziativa offrire a Dio "con la gioia dello Spirito Santo" qualche cosa di più di quanto deve già per la sua professione monastica;

si privi cioè di un po' di cibo, di vino o di sonno, mortifichi la propria inclinazione alle chiacchiere e allo scherzo e attenda la santa Pasqua con l'animo fremente di gioioso desiderio.

Ma anche ciò che ciascuno vuole offrire personalmente a Dio dev'essere prima sottoposto umilmente all'abate e poi compiuto con la sua benedizione e approvazione,

perché tutto quello che si fa senza il permesso dell'abate sarà considerato come presunzione e vanità, anziché come merito.

Perciò si deve far tutto con l'autorizzazione dell'abate.

Capitolo L - I monaci che lavorano lontano o sono in viaggio

I fratelli, che lavorano molto lontano e non possono essere presenti in coro nell'ora fissata per l'Ufficio divino,

se l'impossibilità in cui si trovano è stata effettivamente accettata dall'abate,

recitino pure l'Ufficio divino sul posto di lavoro, mettendosi in ginocchio per la reverenza dovuta a Dio.

Così pure quelli, che sono mandati in viaggio, non lascino passare le ore stabilite per l'Ufficio, ma lo recitino come meglio possono e non trascurino l'adempimento del dovere inerente al loro sacro servizio.

Capitolo LI - I monaci che si recano nelle vicinanze

Il monaco, che viene mandato fuori per qualche commissione e conta di tornare in monastero nella stessa giornata, non si permetta di mangiare fuori, anche se viene pregato con insistenza da qualsiasi persona,

a meno che l'abate non gliene abbia dato il permesso.

Se contravverrà a questa prescrizione, sarà scomunicato.

Capitolo LII - La chiesa del monastero

La chiesa sia quello che dice il suo nome, quindi in essa non si faccia né si riponga altro.

Alla fine dell'Ufficio divino escano tutti in perfetto silenzio e con grande rispetto per Dio,

in modo che, se un monaco volesse rimanere a pregare. privatamente, non sia impedito dall'indiscrezione altrui.

Se, però, anche in un altro momento qualcuno desidera pregare per proprio conto, entri senz'altro e preghi, non a voce alta, ma con lacrime e intimo ardore.

Perciò, come abbiamo detto, chi non intende dedicarsi all'orazione si guardi bene dal trattenersi in chiesa dopo la celebrazione del divino Ufficio, per evitare che altri siano disturbati dalla sua presenza.

Capitolo LIII - L'accoglienza degli ospiti

Tutti gli ospiti che giungono in monastero siano ricevuti come Cristo, poiché un giorno egli dirà: "Sono stato ospite e mi avete accolto"

e a tutti si renda il debito onore, ma in modo particolare ai nostri confratelli e ai pellegrini.

Quindi, appena viene annunciato l'arrivo di un ospite, il superiore e i monaci gli vadano incontro, manifestandogli in tutti i modi il loro amore;

per prima cosa preghino insieme e poi entrino in comunione con lui, scambiandosi la pace.

Questo bacio di pace non dev'essere offerto prima della preghiera per evitare le illusioni diaboliche.

Nel saluto medesimo si dimostri già una profonda umiltà verso gli ospiti in arrivo o in partenza,

adorando in loro, con il capo chino o il corpo prostrato a terra, lo stesso Cristo, che così viene accolto nella comunità.

Dopo questo primo ricevimento, gli ospiti siano condotti a pregare e poi il superiore o un monaco da lui designato si siedano insieme con loro.

Si legga all'ospite un passo della sacra Scrittura, per sua edificazione, e poi gli si usino tutte le attenzioni che può ispirare un fraterno e rispettoso senso di umanità.

Se non è uno dei giorni in cui il digiuno non può essere violato, il superiore rompa pure il suo digiuno per far compagnia all'ospite,

mentre i fratelli continuino a digiunare come al solito.

L'abate versi personalmente l'acqua sulle mani degli ospiti per la consueta lavanda;

lui stesso, poi, e tutta la comunità lavino i piedi a ciascuno degli ospiti

e al termine di questo fraterno servizio dicano il versetto: "Abbiamo ricevuto la tua misericordia, o Dio, nel mezzo del tuo Tempio".

Specialmente i poveri e i pellegrini siano accolti con tutto il riguardo e la premura possibile, perché è proprio in loro che si riceve Cristo in modo tutto particolare e, d'altra parte, l'imponenza dei ricchi incute rispetto già di per sé.

La cucina dell'abate e degli ospiti sia a parte, per evitare che i monaci siano disturbati dall'arrivo improvviso degli ospiti, che non mancano mai in monastero.

Il servizio di questa cucina sia affidato annualmente a due fratelli, che sappiano svolgerlo come si deve.

A costoro si diano anche degli aiuti, se ce n'è bisogno, perché servano senza mormorare, ma, a loro volta, quando hanno meno da fare, vadano a lavorare dove li manda l'obbedienza.

E non solo in questo caso, ma nei confronti di tutti i fratelli impegnati in qualche particolare servizio del monastero, si segua un tale principio

e cioè che, se occorre, si concedano loro degli aiuti, mentre, una volta terminato il proprio lavoro, essi devono tenersi disponibili per qualsiasi ordine.

Così pure la foresteria, ossia il locale destinato agli ospiti, sia affidata a un monaco pieno di timor di Dio:

in essa ci siano dei letti forniti di tutto il necessario e la casa di Dio sia governata con saggezza da persone sagge.

Nessuno, poi, a meno che ne abbia ricevuto l'incarico, prenda contatto o si intrattenga con gli ospiti,

ma se qualcuno li incontra o li vede, dopo averli salutati umilmente come abbiamo detto e aver chiesta la benedizione, passi oltre, dichiarando di non avere il permesso di parlare con gli ospiti.

Capitolo LIV - La distribuzione delle lettere e dei regali destinati ai singoli monaci

Senza il consenso dell'abate nessun monaco può ricevere dai suoi parenti o da qualunque altra persona lettere, oggetti di devozione o altri piccoli regali e neanche farne a sua volta o scambiarli con i confratelli.

E anche se i parenti gli mandassero qualche dono, non si permetta di accettarlo, senza averne prima informato l'abate.

Ma questi, anche nel caso che dia il suo consenso per ricevere il dono, può sempre assegnarlo a chi vuole

e il monaco a cui era destinato non deve farsi di questo un motivo di afflizione, per non dare occasione al diavolo.

Se poi qualcuno si provasse a comportarsi diversamente, sia sottoposto ai castighi dalla Regola.

Capitolo LV - Gli abiti e le calzature dei monaci

Bisogna dare ai monaci degli abiti adatti alle condizioni e al clima della località in cui abitano,

perché nelle zone fredde si ha maggiore necessità di coprirsi e in quelle calde di meno:

il giudizio al riguardo è di competenza dell'abate.

Comunque riteniamo che nei climi temperati bastino per ciascun monaco una tonaca e una cocolla,

quest'ultima di lana pesante per l'inverno e leggera o lisa per l'estate;

inoltre lo scapolare per il lavoro e come calzature, scarpe e calze.

Quanto al colore e alla qualità di tutti questi indumenti, i monaci non devono attribuirvi eccessiva importanza, accontentandosi di quello che si può trovare sul posto ed è più a buon mercato.

L'abate però stia attento alla misura degli abiti, in modo che non siano troppo corti, ma della taglia di chi li indossa.

I monaci che ricevono gli indumenti nuovi, restituiscano i vecchi, che devono essere riposti nel guardaroba per poi distribuirli ai poveri.

Infatti a ogni monaco bastano due cocolle e due tonache per potersi cambiare la notte e per lavarle;

il di più è superfluo e dev'essere eliminato.

Anche le calze e qualsiasi altro oggetto usato dev'essere restituito, quando ne viene assegnato uno nuovo.

I monaci, che sono mandati in viaggio, ricevano dal guardaroba gli indumenti occorrenti, che restituiranno poi lavati al ritorno.

Anche le cocolle e le tonache per il viaggio siano un po' migliori di quelle portate usualmente; gli interessati le prendano in consegna dal guardaroba, quando partono, e le restituiscano al ritorno.

Per la fornitura dei letti poi bastino un pagliericcio, una coperta di grossa tela, un coltrone e un cuscino di paglia o di crine.

I letti, però, devono essere frequentemente ispezionati dall'abate, per vedere se non ci sia nascosta qualche piccola proprietà personale.

E se si scoprisse qualcuno in possesso di un oggetto che non ha ricevuto dall'abate, sia sottoposto a una gravissima punizione.

Ma, per strappare fin dalle radici questo vizio della proprietà, l'abate distribuisca tutto il necessario

e cioè: cocolla, tonaca, calze, scarpe, cintura, coltello, ago, fazzoletti e il necessario per scrivere, in modo da togliere ogni pretesto di bisogno.

In questo, però, deve sempre tener presente quanto è detto negli Atti degli Apostoli e cioè che "Si dava a ciascuno secondo le sue necessità".

Quindi prenda in considerazione le particolari esigenze dei più deboli, anziché la malevolenza degli invidiosi.

Comunque, in tutte le sue decisioni si ricordi del giudizio di Dio.

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