STROFA 11
Scopri la tua presenza,
mi uccida la tua vista e tua bellezza,
sai che la sofferenza
di amore non si cura
se non con la presenza e la figura.
SPIEGAZIONE
2 - L'anima, dunque, desiderando di vedersi ormai posseduta da questo grande Dio, del cui amore si sente rapito e ferito il cuore, non può sopportare più questa prova. Perciò in questa strofa chiede allo Sposo che le mostri la sua bellezza, cioè la sua essenza divina, e che l'uccida con questa vista, distaccandola dal corpo poiché, finché si trova in esso, ella non può vederlo e goderne come desidera. Quindi gli mette davanti le sofferenze e le ansie del cuore, in cui soffre continuamente per amor suo, senza poter trovare rimedio in alcuna cosa inferiore alla gloriosa visione dell'essenza divina.
Viene poi il verso:
Scopri la tua presenza.
3 - Per capirlo bene è necessario sapere che Dio può essere presente all'anima in tre modi:
In primo luogo vi è per essenza, maniera con cui è presente non solo nelle anime buone e sante, ma anche in quelle cattive e peccatrici ed anzi in tutte le creature. In forza di questo genere di presenza, dà loro la vita e l'essere; se ne fossero prive, cesserebbero tutte di esistere tornando nel nulla; quindi essa non manca mai nell'anima.
Dio è poi presente nell'anima per grazia, mediante la quale Egli dimora in lei contento e soddisfatto. Questa presenza non è propria di tutte le anime, ma solo di quelle che non cadono in peccato [mortale]. L'anima non può sapere naturalmente se la possiede.
Il terzo genere di presenza infine avviene per mezzo dell'affezione spirituale, poiché in numerose anime devote Dio fa sentire la sua presenza in molte maniere, ricreandole e recando loro diletto e gioia.
Però sia questo che gli altri casi di presenza sono nascosti, giacché Dio non si mostra qual'è, non potendolo per la natura della vita presente. Perciò il verso: Scopri la tua presenza può intendersi di tutti quei modi di presenza,
4 - Essendo sicura che Dio è sempre presente in lei, per lo meno nella prima maniera, l'anima non chiede che Egli si renda a lei presente, ma che le scopra e le manifesti la sua presenza occulta, sia naturale che spirituale e affettiva, in maniera che possa vederlo nella sua natura e nella sua bellezza divina. Infatti come mediante il proprio essere Egli dà all'anima l'essere naturale e con la presenza della sua grazia la perfeziona, così ella vuole che la glorifichi con la sua gloria manifesta.
Tuttavia poiché quest'anima è trasportata da fervore e da affetto amoroso di Dio, dobbiamo credere che la presenza, di cui ella chiede all'Amato la manifestazione, sia principalmente una certa presenza affettiva operata in lei; la quale è stata così eccelsa da sembrare all'anima di sentirvi nascosto un essere . immenso, della cui divina bellezza Dio le comunica alcuni riflessi chiaroscuri. Essi producono nell'anima un effetto tale da farle bramare e languire dal desiderio di quanto sente che è nascosto in quella presenza, in conformità con quanto sentiva David dicendo: L'anima mia si liquefà per la dimora del Signore (Sal. 83, 3).
Infatti ella in questo tempo viene meno per il desiderio di immergersi in quel bene sommo che sente presente e nascosto, poiché quantunque nascosto, ella avverte in modo molto notevole il bene e il diletto che vi è. Per questo ella è attratta e rapita da questi beni con una forza maggiore di quella con cui qualsiasi cosa naturale è attratta dal suo centro. Presa dunque da questa brama e da questo sviscerato desiderio, l'anima non potendo più contenersi dice: Scopri la tua presenza.
5 - Così accadde a Mosè sul monte Sinai (Es. 33, 13) poiché, standosene alla divina presenza, ebbe una visione così alta e profonda dell'altezza e della bellezza della divinità nascosta che, non potendo sopportarla, pregò il Signore due volte di manifestargli la sua gloria, con queste parole: Tu dici che mi conosci per nome e che ho trovato grazia davanti a Te. Dunque, se è così, mostrami il tuo volto affinché io ti conosca e davanti ai tuoi occhi trovi la grazia completa che desidero, vale a dire, quella di giungere al perfetto amore glorioso di Dio. Ma il Signore gli risponde: Non potrai vedere la mia faccia, poiché nessun uomo 'vivrà, dopo avermi veduto (ibid. 20), come se dicesse: Tu, o Mosè, mi chiedi una cosa difficile: la bellezza del mio volto e la gioia procurata dalla visione del mio essere è tale da diventare insostenibile per l'anima tua in questo genere di vita così debole.
Perciò consapevole di questa verità, sia per la risposta data da Dio a Mosè, sia per tutto quello che ella sa essere nascosto nella presenza del Signore, che non potrà essere mai da lei conosciuto nella sua bellezza nella vita presente (poiché si sente mancare ad un solo suo raggio), previene la risposta che, come quella data a Mosè, potrebbe esserle data da Dio dicendo:
mi uccida la tua vista e tua bellezza,
6 - quasi dicesse: se il diletto di vedere il tuo essere e la tua bellezza è tanto che io non posso sopportarlo, ma devo morire dopo averlo veduto, mi uccida la tua vista e tua bellezza.
7 - Due sono i generi di vista che uccidono l'uomo, perché non può sopportarne la forza e l'efficacia: quella del basilisco, alla cui vista dicono che si muoia subito, e quella di Dio. Le cause però della morte sono molto diverse, giacché l'una uccide a motivo del grande veleno e l'altra per la immensa salute e per il bene di gloria.
Non bisogna quindi meravigliarsi se l'anima vuole morire alla vista della bellezza di Dio onde goderne in eterno. Infatti, se ella avesse solo un presentimento dell'altezza e della bellezza divina, per vederla per sempre non desidererebbe soltanto una morte, ma ne affronterebbe con gioia mille ed acerbissime per goderla solo un istante; in seguito vorrebbe affrontarne altrettante per vederla
un altro poco.
8 - Onde spiegare meglio questo verso è necessario sapere che l'anima parla condizionatamente quando dice mi uccida la tua vista e tua bellezza, cioè, se non può vederla senza morire; in caso contrario non desidererebbe di essere uccisa. La morte è una imperfezione naturale, ma, dato che questa vita corruttibile dell'uomo non può stare insieme con quella incorruttibile di Dio, l'anima dice: mi uccida.
9 - Di tale dottrina parla S. Paolo ai Corinti (2 Cor. ',4): Non vogliamo essere spogliati, ma sopravvestiti, affinché ciò che è mortale sia assorbito dalla vita, cioè: non desideriamo essere spogliati della carne, ma essere sopravvestiti della gloria. Accorgendosi però che non si può vivere insieme nella gloria e nella carne mortale, scrive ai Filipppesi (I, 23) che desidera essere sciolto e vedersi con Cristo.
Ma qui sorge un dubbio: perché anticamente i figli di Israele rifuggivano dal desiderio di vedere Dio per paura di morire, come disse Manue a sua moglie (Giud. 13, 22), mentre quest'anima alla vista di Dio desidera di morire? A questo dubbio si risponde che ciò avveniva per due motivi.
Prima di tutto perché in quel tempo gli uomini, anche se morivano in grazia di Dio, per vederlo, dovevano attendere. fino alla venuta di Lui. Era quindi per loro molto meglio vivere m carne, accrescendo i meriti e godendo della vita naturale che stare nel limbo senza meriti a soffrire tene?r~ e. privazione. spirituale di Dio. Per tale ragione gli uomini di allora stimavano un grande beneficio e favore divino quello di vivere molti anni.
10 - In secondo luogo ciò accadeva a causa dell'amore poiché, no? essendo molto forti né molto vicini a Dio per amore, essi temevano di morire alla sua vista.
Ora invece nella legge di grazia dove, morendo il coi· po, l'anima può vedere Dio, è cosa più saggia desiderate di vivere poco e di morire presto per vederlo. Quand'anche non fosse così, l'anima che ama Dio come questa, non temerebbe di morire alla sua vista. Infatti il vero amore riceve con uguale serenità, anzi con gioia e piacere, tutto ciò che le viene da parte dell'Amato, sia le avversità che le prosperità, i castighi stessi e qualunque cosa gli piaccia mandarle, secondo quanto dice S. Giovanni: La carità Perfetta allontana ogni timore (I Gv. 4, 18).
All'anima amante la morte non può essere amara, poiché in essa trova ogni sua dolcezza e diletto di amore, non le può essere triste il ricordo, giacché vi trova ogni sua gioia, e non ne può sentire il peso e la pena, poiché essa, è il termine di tutti i suoi affanni e di tutte le sue pene il principio di ogni suo bene. La tiene per amica e sposa e si rallegra al ricordo come se si trattasse del giorno delle sue nozze. Desidera poi l'ora della sua morte più di quanto i re della terra desiderano i regni e i principati.
Di tal genere di morte dice il Savio: O morte! il tuo giudizio è buono per l'uomo che si trova in necessità (Eccli 41, 3). Se è buona per l'uomo che ha bisogno delle cose di questa vita, quantunque essa non lo soccorra ma anzi lo spogli anche di quanto possiede, quanto migliore sarà la sua sentenza per l'anima bramosa di amore, come la presente, la quale grida per averne di più? Infatti la morte non solo non la spoglierà di quanto possiede, ma le darà il compimento dell'amore che desidera e la renderà soddisfatta in tutte le sue necessità.
A ragione quindi ella ardisce dire senza paura: Uccidami tua vista e tua bellezza, ben sapendo che, nel momento stesso in cui vedrà la divina presenza, sarà in essa rapita, assorta e trasformata diventando bella, abbondante di beni e arricchita, come la stessa bellezza di Dio.
Per tale ragione David dice che: La morte dei santi è preziosa al cospetto del Signore (Sal. IIS, IS)· Ciò non sarebbe possibile se essi non partecipassero alla sua stessa grandezza, poiché davanti a Dio niente è prezioso se non ciò che Egli è in se stesso. Perciò l'anima quando ama, non teme di morire, anzi lo desidera, mentre il peccatore ha sempre paura della morte, prevedendo che questa lo priverà di tutti i beni e gli darà tutti i mali. David quindi dice che: La morte dei peccatori è pessima (Sal. 33, 22), per cui, Come afferma il Savio: Per loro ne è amaro il ricordo (Eccli, 4ì,I), poiché, amando molto la vita di questo mondo e poco quella dell'altro, temono grandemente la morte. Ma l'anima che ama Dio, vive più nell'altra vita che in questa, giacché ella vive più . dove ama che dove anima e quindi tiene in poco conto la vita temporale. Perciò dice: Mi uccida la tua vista, ecc.
Sai che la sofferenza
di amore non si cura
se non con la presenza e la figura.
11 - La causa per cui la sofferenza di amore non ha altra cura che la presenza e l'aspetto dell'Amato va ricercata nel fatto che, essendo diversa da tutte le altre, essa ba anche una medicina diversa.
Nelle altre malattie, seguendo la norma di una sana filosofia, i contrari si curano con i contrari, mentre l'amore si cura solo servendosi di cose conformi ad esso.
Ciò avviene perché l'amore di Dio è salute dell'anima la quale, se priva di un amore perfetto, non ha una salute perfetta rimanendo quindi malata, poiché l'infermità non è altro che mancanza di salute. In tal modo, allorché non possiede alcun grado di amore, l'anima è morta, mentre se ne possiede qualche grado, per quanto minimo, è viva sì, ma è. molto delicata e inferma a causa del poco amore che possiede, Quanto più l'amore crescerà, tanto maggiore sarà la salute di cui ella godrà e perciò, quando avrà un amore perfetto, godrà di una salute perfetta.
12 – Ora c'è da sapere come l'amore non raggiunge mal la perfezione, finché gli amanti non si eguagliano in maniera tale da trasformarsi l'uno nell'altro; solo allora l'~more ~ sano. Poiché ora l'anima scorge in sé un certo disegno Imperfetto di amore, che è la sofferenza di cui .. si parla, bramando di conformarsi perfettamente all'immagine di cui è il disegno, cioè al Verbo Figlio di Dio suo Sposo, il quale, come afferma S. Paolo, è lo splendore della gloria del Padre e l'immagine della sua sostanza (Ebr: I, 3) (questa è l'immagine in cui l'anima desidera trasformarsi per amore) dice: sai che la sofferenza - di amore non si cura - se non con la presenza e la figura.
13 - L'amore imperfetto giustamente vien detto malattia, poiché, come l'infermo è fiacco all'opera, cosi l'anima, debole in amore, è fiacca anche nella pratica delle virtù eroiche.
14 - Inoltre si può dire che colui il quale sente in sé la malattia di amore, e cioè che manca di amore, lo possiede in parte, poiché per mezzo di quello che ha, vede quello che gli manca, ma se non sente tale mancanza, è segno che non ha nessun amore, o che possiede quello perfetto.
NOTA SULLA STROFA SEGUENTE
1 - In questo tempo l'anima sentendosi spinta verso Dio con grande veemenza, come la pietra quando si avvicina al suo centro, accorgendosi di essere come ,!a cera che ha incominciato, ma non finito, di ricevere l'impressione del sigillo o come un'immagine abbozzata di prima mano grida a colui che l'ha dipinta affinché termini di disegnarla e di plasmarla. Poiché ora possiede una fede cosi illuminata che le fa trasparire alcuni raggi molto chiari dell'altezza del suo Dio non sa fare altro che rivolgersi alla stessa fede, come a colei la quale rinchiude e copre la bella immagine dell'Amato, da cui anch'essa riceve gli abbozzi e i pegni di amore. Perciò parlando con essa dice:
STROFA 12
O fonte cristallina,
se in questi tuoi sembianti inargentati,
formassi all'improvviso
gli occhi desiati,
che tengo nel mio interno disegnati !
SPIEGAZIONE
2 - Poiché l'anima desidera con tanto ardore l'unione con lo Sposo e vede che nessuna creatura può esserle di mezzo per essa, si rivolge alla fede, come colei che più vivamente le può comunicare la luce dell'Amato, prendendola come mezzo per raggiungere lo scopo (giacché ID verità non ne esiste nessun altro che possa condurre alla vera unione del fidanzamento spirituale con Dio, secondo 9uannto fa intendere il Signore per le labbra di Osea: Io ti sposerò nella fede (2, 20). Le dice con desiderio ardente: O fede di Cristo, mio Sposo, volesse il cielo che tu ormai mi manifestassi con chiarezza le verità del mio Sposo da te infuse nell'anima mia, ma avvolte in oscurità e in tenebre (poiché la fede, secondo i teologi, è un abito oscuro), in maniera che tu mi mostrassi svelatamente in un attimo quello che mi comunichi con notizie informi e oscure, allontanandoti da queste verità (poiché la fede è il velo delle verità di Dio), cambiandole formatamente e perfettamente in manifestazioni di gloria!
Dice pertanto il verso:
O fonte cristallina!
3 - L'anima chiama cristallina la fede per due ragioni e cioè perché appartiene a Cristo suo Sposo e perché ha le proprietà del cristallo essendo pura, forte, chiara, limpida da errori e da forme naturali nelle sue verità, Le dà poi il nome di fonte perché emanano da essa le acque di ogni bene spirituale, Per questo Cristo, Nostro Signore, la chiamò fonte nel colloquio con la Samaritana affermando che in coloro che avrebbero creduto in Lui sarebbe sgorgata una fonte, le cui acque sarebbero salite fino alla vita eterna (Gv, 4, 14). Si tratta de lo spirito che avrebbero ricevuto coloro che credono in Lui (Ibid. 7, 39).
Se in questi tuoi sembianti inargentati.
4 - Le proposizioni e gli articoli della fede vengono chiamati dall'anima con il nome di sembianti inargentati. Per intendere questo e gli altri versi è necessario notare come la fede sia paragonata all'argento per gli articoli che ci insegna, mentre la verità sostanziale che contiene in sé viene assomigliata all'oro, poiché nell'altra vita una volta scoperto l'oro vedremo e godremo svelatamente questa stessa sostanza a cui ora crediamo, perché nascosta sotto l'argento della fede.
Perciò David parlando di questa virtù dice: Se dormirete fra i due cori, le penne della colomba saranno inargentate e le estremità del suo dorso saranno del colore dell'oro (Sal. 67, 14). Con queste parole egli vuol dire che, se chiuderemo gli occhi dell'intelletto alle cose del cielo e della terra, azione indicata dall'espressione « dormire fra », rimarremo ancorati solo nella fede, che chiama « colomba », le cui penne, cioè le verità che ci manifesta, saranno inargentate, poiché in vita ci vengono proposte oscure e nascoste, per cui le chiama sembianze inargentate. Ma al termine di questa fede, cioè quando essa cesserà a causa della chiara visione di Dio, rimarrà sola la sua sostanza, colore oro, libera dal velo dell'argento.
In tal modo questa virtù ci comunica Dio stesso, ma nascosto dall'argento; per tale ragione non bisogna credere che non ce lo dia veramente, perché il regalo di un vaso d'oro mantiene il suo valore anche se esso è coperto d'argento. Perciò quando la sposa dei Cantici desiderava questo possesso di Dio, il Signore gliene promise quanto è possibile in questa vita dicendo che le avrebbe fatto alcuni orecchini d'oro, smaltati però d'argento (I, IO), promettendo così di darsi a lei nascosto nella fede.
L'anima dice dunque ora alla fede: Se in questi tuoi sembianti inargentati, che sono gli articoli della fede di cui si è parlato, con i quali tiene ricoperto l'oro dei raggi divini (cioè gli occhi desiderati di cui parla subito dicendo),
formassi all'improvviso
gli occhi desiati!
5 - Per occhi si intendono i raggi e le verità divine che la fede ci propone nascoste e informi nei suoi articoli. E così è come se dicesse: Oh! volesse il cielo che come chiede il mio desiderio, tu finissi di darmi chiaramente e formatamente svelate nei tuoi articoli quelle verità che in maniera informe e oscura mi mostri nascoste negli articoli della fede! Dà il nome di occhi a queste verità, perché vi percepisce grandemente la presenza dell'Amato, che le sembra stia sempre a guardarla. Per questo dice:
che tengo nel mio interno disegnati.
6 - L'anima afferma di averli nel suo interno disegnati vale a dire in sé secondo l'intelletto e la volontà.
Infatti secondo l'intelletto, ella possiede queste verità infuse per fede. Poiché la loro cognizione non è perfetta, afferma che sono disegnate: come il disegno non è una pittura perfetta, cosi la cognizione della fede non è conoscenza perfetta. Pertanto le verità infuse della fede stanno nell'anima come in un disegno, mentre quando saranno poste in visione chiara, staranno in lei come in una pittura perfetta e rifinita, secondo quanto dice l'Apostolo: Cum autem venerit quod perfectum est, evacuabitur quod ex parte est (I Coro 13, 10), che vuol dire: Quando verrà ciò che è perfetto, cioè la chiara visione, finirà ciò che è in parte, ossia la conoscenza per mezzo della fede.
7 - Ma nell'anima di chi ama, oltre a quello della fede, vi è un altro disegno, quello dell'amore, secondo la volontà, in cui quando si è raggiunta l'unione, l'immagine dell'Amato viene riprodotta in maniera cosi viva e perfetta da poter dire con verità che l'Amato vive nell'amante e questi in quello. È tanta la somiglianza che l'amore produce nella trasformazione delle persone amate, che si può affermare che l'uno è l'altro e ambedue sono una cosa sola. La ragione va ricercata nel fatto che nell'unione e nella trasformazione di amore l'uno si dà in possesso e si muta nell'altro e cosi ciascuno vive nell'altro, l'uno è l'altro, e tutti e due sono una cosa sola per trasformazione di amore.
A ciò allude S. Paolo quando afferma: Vivo autem, iam non ego, vivit vero in me Christus (Gal. 2, 20) vale a dire: Vivo io, ma non sono io; è Cristo che vive in me. Dicendo «vivo io, ma non sono io» vuole far comprendere come, pur vivendo, la vita non era più sua, poiché era trasformato in Cristo e quindi la sua vita era più divina che umana. Perciò afferma che non era più lui, ma Cristo che viveva in lui. Secondo questa somiglianza di trasformazione possiamo dunque affermare che la vita di S. Paolo e quella di Cristo, per l'unione di amore, erano un'unica cosa.
8 - Ciò si compirà perfettamente nella vita divina in cielo in tutti coloro che meriteranno di vedersi in Dio: trasformati in Lui vivranno non la propria, ma la vita divina, anche se parrà' il contrario, perché la vita di Dio sarà vita loro. Allora diranno con verità: «Viviamo noi, ma non siamo noi' è Dio che vive in noi». Anche se ciò può avvenire in questa vita come accadde a S. Paolo, tuttavia non si verifica in maniera perfetta e completa, quantunque anima pervenga a quella trasformazione di amore, quale è il matrimonio spirituale, che è lo stato più sublime che si può raggiungere in terra. Infatti tutto ciò si può considerare un abbozzo in confronto con l'immagine perfetta della trasformazione gloriosa. .
La sorte di chi in vita raggiunge questo abbozzo di trasformazione è veramente felice, perché rallegra grandemente l'Amato. Perciò, desiderando di essere posto come un disegno nell'anima, il Signore dice alla sposa dei Cantici: Mettimi come segno sul tuo cuore, come segno sul tuo braccio (8, 6).
Il «cuore» è simbolo dell'anima in cui Dio qui in terra si trova come un segno di un disegno di fede; il « braccio» simboleggia la volontà forte nella quale Egli sta come un segno di un disegno dell'amore.
9 - Non voglio tralasciare di parlare almeno brevemente di ciò che avviene all'anima in questo tempo, benché Sia tale da non potersi esprimere a parole.
Le sembra che la sostanza corporea e spirituale le si dissecchi per la sete dell'acqua che sgorga dalla fonte viva di Dio, sete simile a quella sofferta da David quando dice:
Come il cervo desidera la sorgente dell'acqua, così l'anima mia desidera te, Dio mio. La mia anima è assetata di Dio, fonte viva: quando verrò e apparirò dinanzi alla faccia del Signore? (Sal. 41, 2-3). Essa è tanto angustiata da questa sete che, come fecero i forti di David, non si periterebbe di irrompere in mezzo ai Filistei per riempire di acqua il suo vaso nelle cisterne di Bethlehem (I Cron. II, 18), cioè di Cristo. Infatti sarebbe pronta a disprezzare tutte le difficoltà del mondo, le furie del demonio e le pene dell'inferno pur di immergersi in questa fonte abissale di amore. A tale proposito si legge nel Cantico: L'amore è forte come la morte e la sua tenacia è dura come l'inferno (8, 6).
Non si può credere quanto siano veementi le pene ansiose che l'anima soffre quando si vede prossima a gustare quel bene che invece le viene negato. Infatti quanto più si accorge di essere vicina e, per dire cosi, vede alla porta ciò che desidera, che invece le viene negato, tanto maggior pena e tormento prova. A tal proposito in senso spirituale Giobbe dice: Prima di mangiare, sospiro e il ruggito dell'anima mia è come la piena delle acque (3, 24), a causa _ dell'avidità del cibo, per il quale qui si intende Dio, poiché la pena per un cibo è proporzionale all'avidità e alla conoscenza che se ne ha.
NOTA SULLA STROFA SEGUENTE
I - La causa per cui l'anima in questo tempo soffre molto è questa: progredendo nell'unione con Dio, ne sente grandemente l'assenza e percepisce la pesantezza delle tenebre, accompagnate da fuoco spirituale da cui è disseccata e purificata affinché in tale condizione possa unirsi con il Signore. Finché Egli non fa discendere sopra di lei qualche raggio della propria luce, Dio è per lei tenebre insopportabili, se le sta spiritualmente vicino, poiché la luce soprannaturale eccessiva oscura quella naturale. Tutto ciò vuol fare intendere David quando dice: Una nube oscura lo circonda, il fuoco lo precede (Sal. 96, 2) e altrove: Prese per suo nascondiglio la tenebra, e il tabernacolo che lo circonda è l'acqua tenebrosa delle nubi. Dell'aria. Per il suo grande splendore, alla sua presenza vi sono nubi, grandine e carbone infuocato (Sal. 17, 13), il che vale per l anima che sta avvicinandosi a Lui. Infatti quanto più essa giunge vicino a Lui, tanto più sente in sé la verità di quanto è stato detto fino al momento in cui Dio non la introduce nei suoi splendori divini per trasformazione di amore. Frattanto ella è come Giobbe e dice: Chi ml darà dl conoscerlo, di trovarlo e di arrivare fino al suo trono? (23, 3).
Ma per l'immensa pietà del Signore, le consolazioni e le delizie concesse all'anima sono proporzionate alle tenebre e al vuoto operato in lei poiché sicut tenebrae eius, ita et lumen eius (Sal. 138, 12), giacché il Signore mentre la innalza e la glorifica, la umilia e. la. Deprime. Infatti, in mezzo a questi travagli Egli le ha inviato alcuni raggi divini con tale gloriosa forza di amore da commuoverle e sconvolgerle tutta la natura. E così con grande paura naturale ella rivolge all'Amato le prime parole della strofa seguente, di cui Egli dice poi il resto.
STROFA 13
Allontanali, Amato,
ché passo a volo!
Lo sposo
Volgiti, o colomba,
poiché il cervo ferito
sull'alto colle spunta
all'aura del tuo volo e il fresco prende.
SPIEGAZIONE
2 - Durante i grandi desideri e fervori d'amore, quali l'anima ha dimostrato nelle strofe precedenti, l'Amato suole visitare la sua sposa in maniera casta, delicata e grandemente amorosa. Infatti generalmente le grazie e le visite che Dio fa all'anima sogliono essere grandi come i fervori e le ansie amorose da cui sono state precedute.
Ora, poiché l'anima ha desiderato ansiosamente gli occhi divini, dei quali ha parlato nella strofa precedente, l'Amato, andando incontro al suo desiderio, le ha manifestato alcuni raggi della sua grandezza e divinità. Tali raggi sono così sublimi e le vengono comunicati con tanta forza, che essa esce fuori di sé con rapimenti ed estasi, il che a principio si verifica con grande detrimento e timore della natura. Perciò, non potendone sopportare l'eccesso in un soggetto tanto debole, l'anima dice in questa strofa: Allontanali, Amato, cioè allontana questi tuoi occhi divini poiché trascinandomi fuori di me stessa, mi fanno volare verso un'altissima contemplazione, superiore a quella che può sopportare la natura.
Dice così poiché le sembrava che la sua anima volasse via dalla carne, ciò che ella desiderava. Perciò gli aveva chiesto che li allontanasse, vale a dire che cessasse di comunicare quei raggi divini nella carne, nella quale non li poteva sopportare e godere come avrebbe voluto, e glieli comunicasse nel volo che ella faceva fuori di essa.
Lo Sposo però rifiutò subito di accondiscendere a tale desiderio dicendo: Volgiti, o colomba, perché la comunicazione che ora ricevi da me non è ancora quella dello stato di gloria, come tu vorresti .• Rivolgiti a me, che sono colui che tu piagata d'amore cerchi, poiché anch'io come il cervo, piagato dal tuo amore, incomincio a manifestarmi a te per mezzo dell'alta contemplazione, nel cui amore prendo piacere e trovo refrigerio.
L'anima dice dunque allo Sposo:
Allontanali, Amato!
3 - Secondo quanto è stato detto, in conformità con i grandi desideri che aveva di vedere gli occhi divini, cioè la divinità, l'anima ha ricevuto interiormente dall'Amato una comunicazione e notizia di Dio tale da costringerla a dire: Allontanali, Amato! Infatti tanta è la miseria della natura che l'anima, allorché le viene concesso, non può ricevere quello che per lei è più vitale e più ardentemente desiderato, cioè la comunicazione e la conoscenza dell'Amato, senza rimetterei la vita, Perciò, quando le viene concessa la vista di quegli occhi che aveva cercato per tante vie con grande ansia e sollecitudine, ella esclama: Allontanali, Amato!
4 - Talvolta il tormento che si prova in simili visite di rapimento è così grande che non vi è un altro capace, come questo, di slogare le ossa e mettere alle strette la natura in modo tale che se Dio non provvedesse verrebbe a mancare la vita, E sembra proprio cosi all'anima che lo prova, perché le sembra che si distacchi e si separi dal corpo.
Ciò accade perché questo non è molto adatto a ricevere simili favori, in quanto che l'anima viene elevata a comunicare con lo spirito divino che discende in lei e quindi deve necessariamente abbandonare in qualche modo la carne. Ne segue che essa deve patire; anche l'anima quindi soffre, perché unita col corpo in un unico supposto. Perciò il grande tormento che prova al tempo di tali visite e il grande timore che le sopraggiunge vedendosi trattata in maniera soprannaturale, la spingono a dire: Allontanali, Amato!
5 - Ma non bisogna credere che essa, benché lo preghi io tal senso, voglia che il Signore si allontani, perché quelle parole sono dettate dal timore naturale; anzi, anche se le costassero di più, ella non vorrebbe perdere queste visite gradite dell'Amato poiché, se la natura ne soffre, lo spirito
vola al raccoglimento soprannaturale per godere dello spirito dell'Amato, che è quanto ella ha desiderato e chiesto. Ella però non vorrebbe ricever1o nella carne, dove non lo può godere perfettamente, bensì poco e con pena, ma nel volo dello spirito fuori della carne, dove si gode liberamente. Per questo dice: Allontanali, Amato, cioè cessa di comunicarli alla carne,
ché passo a volo!
6 - come se dicesse: volo via dal corpo, affinché fuori di esso tu mi comunichi quei doni per i quali io mi allontano in volo dalla carne.
Per meglio intendere il volo di cui si tratta, è da notare- che in tale visita dello Spirito di Dio quello umano con grande forza è trascinato fuori dal corpo per comunicare con quello di Dio; il corpo viene meno cessando di sentire e di avere in esso le sue azioni, poiché le ha in Dio. Perciò S. Paolo dice che in un suo rapimento non sapeva se l'anima sua lo aveva ricevuto nel corpo o fuori del corpo (2 Cor. 12, 2).
Ciò non ci deve far credere che l'anima abbandona il corpo e lo lascia privo della vita naturale, ma solo che non compie più in lui le sue azioni. Questa è la causa per cui in simili ratti o voli il corpo rimane privo dei sensi e di ogni loro operazione, anche se è sottoposto a prove capaci di generare un grande dolore, poiché gli accade in maniera diversa da quello che avviene in altre sofferenze e svenimenti naturali nei quali il dolore ha il potere di far tornare in sé il paziente.
Tali sentimenti vengono provati in queste visite da coloro che non sono ancora giunti allo stato di perfezione, ma si trovano solo in quello dei proficienti, poiché i perfetti ricevono ogni comunicazione in pace, con amore soave; cessano infatti in loro i rapimenti, i quali servivano per disporli alla comunicazione totale.
7 - Sarebbe opportuno ora trattare della differenza che vi è fra i rapimenti, le estasi e gli altri ratti e voli sottili dello spirito che sogliono accadere alle persone spirituali. Ma poiché mio unico intento, come ho promesso nel prologo, è quello di spiegare brevemente le strofe, devo lasciare quelle cose a chi ne sa trattare meglio di me, tanto più che la beata Teresa di Gesù, nostra madre, ha lasciato degli scritti mirabili intorno a questi doni dello spirito, scritti che presto, spero, verranno pubblicati;
Pertanto, ciò che qui l'anima dice del volo, si deve intendere del rapimento e dell'estasi dello spirito in Dio.
Dice quindi subito l'Amato:
Volgiti, o colomba.
8 - In quel volo spirituale l'anima volentieri si sarebbe separata dal corpo, credendo che la sua vita stesse per finire e che ella potesse godere per sempre lo Sposo e rimanere svelatamente con Lui. Lo Sposo invece le impedisce di andare avanti dicendo: Volgiti, o colomba, vale a dire:
O colomba, nel volo alto e agile di contemplazione che tu fai, nell'amore con cui ardi e nella semplicità con cui ti muovi (la colomba ha queste tre proprietà) torna indietro da questo volo alto per mezzo del quale desideri giungere veramente a possedermi, poiché ancora non è giunto il tempo di una conoscenza così sublime; accomodati invece a questa più imperfetta che io ti comunico in questo tuo trasporto.
Poiché il cervo ferito.
9 - Lo Sposo si paragona al cervo poiché in questo luogo per cervo intende se stesso. C'è da sapere che è proprietà del cervo quella di salire sulle alture; quando è ferito se ne va in gran fretta a cercare refrigerio nelle acque fredde e se ode il lamento della compagna e sa che è ferita, corre subito a lei, l'accarezza e la vezzeggia. Così fa ora lo Sposo poiché, vedendo la sposa ferita del su~ amore e udendone il gemito, viene ferito dall'amore di lei giacché tra gli innamorati la ferita dell'uno è ferita dell'altro e unico è il sentimento che hanno. Perciò è come se dicesse: Torna indietro verso di me, o sposa mia, poiché se tu sei stata ferita dall'amore mio, anch'io, come il cervo ferito da questa tua piaga, vengo a te.
Inoltre, come il cervo, Egli spunta dall'alto, perciò dice:
sull'alto colle spunta
10 - cioè dall'alto della contemplazione che possiedi in questo volo. Essa infatti è un'altura su cui Dio, in questa vita, incomincia, senza mai cessare, a comunicarsi e a mostrarsi all'anima. Perciò non afferma che Dio appare, ma che spunta poiché, per quanto sublimi siano le notizie di Dio ricevute dall'anima in terra, sono simili ad apparizioni molto rapide.
Segue la terza delle accennate proprietà del cervo, contenuta nel verso seguente:
all'aura del tuo volo e il fresco prende.
11 - Per volo si intende la contemplazione propria dell'estasi di cui è stato parlato e per aura lo spirito di amore causato nell'anima da questo volo. A questo amore causato dal volo essa molto giustamente dà il nome di aura poiché anche lo Spirito Santo, che è amore, nella Sacra Scrittura è paragonato all'aura, in quanto viene spirato dal Padre e dal Figlio. Come Egli lì è aura prodotta dal volo, poiché procede e viene spirato dalla contemplazione e sapienza del Padre e del Figlio, così quest'amore dell'anima viene chiamato qui dallo Sposo aura perché procede dalla contemplazione e dalla conoscenza di Dio possedute attualmente da lei.
C'è. da notare come in questo verso lo Sposo non afferma di venire al volo, ma all'aura del volo giacché Dio propriamente non si comunica all'anima per mezzo del volo, che consiste nella conoscenza che ella ha di Dio, ma mediante l'amore derivato dalla conoscenza: come l'amore è
unione del Padre e del Figlio, così unisce anche l'anima e Dio. Da ciò proviene che, per quanto un'anima abbia sublimi notizie di Dio, sia dotata di contemplazione e conosca tutti i misteri, come afferma S. Paolo, in nessun modo se ne potrebbe servire per l'unione con il Signore se non possedesse l'amore (I Cor. 13, 2); infatti l'Apostolo in un altro testo dice: Charitatem habete, quod est vinculum perfectionis (Col. 3, 14) - Abbiate la carità, che è il vincolo della perfezione.
Pertanto questa carità o amore dell'anima fa in modo che lo Sposo corra a bere alla fonte amorosa della sposa, come le acque fresche invitano il cervo sitibondo e piagato a correre per refrigerar si. Perciò essa soggiunge: e il fresco prende.
12 - Come l'aria rinfresca refrigerandolo chi è affaticato dal caldo, così quest'aura d'amore porta refrigerio e reca sollievo a chi arde d'amore, poiché questo ha la proprietà di essere refrigerato da un'aria che è un altro fuoco d'amore, dato che nell'amante l'amore è fiamma che arde accompagnata dal desiderio di ardere di più, simile in ciò alla fiamma del fuoco naturale. Pertanto lo Sposo chiama prender fresco l'adempimento del proprio desiderio di ardere maggiormente nella fiamma dell'amore della sposa, cioè nell'aura del volo di lei. Perciò è come se dicesse: all'ardore del tuo volo, io brucio di più, poiché un amore ne accende un altro.
È necessario notare che Dio infonde nell'anima la sua grazia e il suo amore in proporzione alla volontà e all'amore di essa. Per questo il vero innamorato deve procurare che tale amore non venga mai meno poiché, per mezzo di esso, spingerà di più il Signore, se così si può dire, ad amarlo di più e a trovare maggiormente diletto nell'anima sua. .
Per conseguire questa carità si deve fare quanto insegna l'Apostolo (I Coro 13, 4-7): La carità è p~!ente, è benigna, non è invidiosa, non fa del male, non si insuperbisce, non è ambiziosa, non cerca le proprie cose, non si irrita, non pensa male, non si rallegra della malvagità, gode della verità, soffre tutte le cose che sono da soffrire, crede a tutte le cose che si devono credere, spera e sopporta tutto ciò che le conviene.
NOTA SULLA STROFA SEGUENTE
I - Poiché questa colomba dell'anima andava volando per l'aura di amore sopra le acque del diluvio delle sue fatiche e ansie amorose che ha mostrato fino ad ora, senza trovare dove posare il piede, durante quest'ultimo volo il padre pietoso Noé ha steso la sua mano misericordiosa e presala l'ha introdotta nell'arca della sua carità e del suo amore. Ciò è accaduto allorché nella strofa precedente è stato detto: Volgiti, colomba.
In tale raccoglimento l'anima, trovando tutto ciò che desidera e più di quanto si possa esprimere, incomincia a cantare le lodi dell'Amato e descrive le grandezze che sente e gode in questa unione con Lui, dicendo nelle due strofe seguenti:
STROFE 14 e 15
L'Amato è le montagne,
le valli solitarie e ricche d'ombra
le isole remote,
le acque rumorose,
il sibilo delle aure amorose;
È come notte calma
molto vicina al sorger dell'aurora
musica silenziosa,
solitudin sonora,
è cena che ristora e che innamora.
NOTA
2 - Prima di iniziare il commento di queste strofe, per capire meglio queste e le seguenti, è necessario ricordare come il volo spirituale, di cui ho terminato ora di parlare, indica un alto stato di unione di amore in cui, dopo un lungo esercizio spirituale, Dio colloca l'anima, stato al quale viene dato il nome di fidanzamento spirituale con il Verbo, Figlio di Dio. A principio, cioè la prima volta in cui ciò avviene, il Signore comunica all'anima grandi beni, abbellendola di grandezza e di maestà, corredandola di doni e di virtù e rivestendola di conoscenza e di amore divino, proprio come viene fatto ad una sposa il giorno del suo fidanzamento. In questo giorno fortunato non solo cessano in lei le ansie veementi e i lamenti amorosi del passato ma, adorna dei beni di cui si è parlato, incomincia a vivere in uno stato di pace, di diletto e di soavità amorosa, quale è descritta in queste strofe, nelle quali non si fa altro che enumerare e cantare le grandezze che l'anima conosce e gode nell'Amato mediante l'unione del fidanzamento. E così nelle strofe seguenti ella non parla più di pene o di ansie come faceva prima, ché cessano in questo stato, ma tratta della comunicazione e dell'esercizio dell'amore dolce e pacifico con l'Amato.
Si deve inoltre notare che in queste due strofe si parla di tutto ciò che Dio può comunicare all'anima in questo tempo. Però non si deve credere che a tutte le anime le quali giungono a tale stato venga concesso tutto ciò di cui si parla né in una stessa misura e maniera di conoscenza e di sentimento, poiché alle une viene dato più, alle altre meno, a queste in una maniera, a quelle in un'altra,. anche se tutte queste varie specie di comunicazione appartengono al fidanzamento spirituale. Ora parlerò di tutto ciò che può essere comunicato e che comprende in sé tutto il resto.
SPIEGAZIONE DELLE DUE STROFE
3 - È necessario ricordare che, secondo quanto narra la divina Scrittura (Gen. 6, 14, segg.), l'arca di Noè era divisa in molte parti destinate alle numerose specie di animali, e conteneva ogni genere di cibo. Similmente l'anima, nel volo che compie verso la divina arca del petto di Dio, non solo vi scorge le molte mansioni che, secondo quanto il Signore dice in S. Giovanni (14, 2), sono nella casa del Padre, ma anche tutti i cibi, cioè tutte le grandezze che ella vi può gustare. Si tratta di tutti i beni enumerati nelle strofe suddette, significati da quei termini comuni, che in sostanza si riducono ai seguenti.
4 - In questa unione divina l'anima vede e gusta con abbondanza ricchezze inestimabili, trova tutto il riposo e il sollievo che desidera e penetra i segreti e le straordinarie notizie di Dio che sono per lei un altro cibo tra i più saporiti. Sente in Dio un potere e una forza terribili capaci di annientare ogni altro potere e ogni altra forza, vi gusta una mirabile soavità e diletto di spirito, vi trova una vera quiete e luce divina, e vi gusta profondamente la sapienza di Dio che risplende nell'armonia delle creature e delle opere divine. Si accorge di essere ricolma di beni, vuota e lontana dai mali, e soprattutto intende e gode di una inestimabile sazietà di amore, da cui è confermata in amore. Questo in sostanza è il contenuto delle due strofe citate.
5 - In esse la sposa afferma che il suo Amato in sé e per lei è tutte queste cose; poiché in quanto Dio è solito comunicarle in simili rapimenti, ella comprende la verità del detto di S. Francesco: "Dio mio e mio tutto". Perciò, essendo Dio per l'anima tutte le cose e ogni loro bene, per far capire ciò che le viene concesso nell'estasi,
essa ricorre ad una similitudine presa dalla bontà delle creature, secondo quanto spiegherò riguardo a ciascun verso di queste due strofe.
Si deve dunque notare come tutto ciò di cui ora si parla si trova eminentemente in Dio in maniera infinita o, per dire meglio, Egli è ognuna di queste grandezze che si predicano, le quali tutte insieme sono Dio. Perché l'anima nel caso presente si unisce con il Signore, si accorge che tutte le cose sono Lui, secondo quanto esperimenta San Giovanni quando scrive: Quod factum est, in ipso vita erat (1, 4), vale a dire: Ciò che fu fatto, era vita in Lui. Però non si deve credere che il sentimento dell'anima equivalga alla visione delle cose nella luce o delle creature in Dio ma che in quel possesso ella sente che Dio è per lei tutte le cose. Del pari, siccome percepisce Dio in modo tanto sublime in ciò di cui stiamo parlando, non si deve concludere che lo vede essenzialmente e chiaramente; ciò che ella vede non è altro che una forte e copiosa comunicazione e un barlume di ciò che Egli è in sé, in cui ella intravvede Ia bontà delle cose di cui si tratterà nei versi seguenti.
L'Amato è le montagne.
6 - Le montagne hanno delle cime, sono alte, imponenti, belle, graziose, fiorite e odorose. Come queste montagne è l'Amato per me.
Le valli solitarie e ricche d'ombra.
7 - Le valli solitarie sono quiete, amene, fresche, ombrose, ricche di dolci acque. Per la varietà dei loro alberi e per il soave canto degli uccelli ricreano e dilettano grandemente il senso e nella loro solitudine e nel loro silenzio offrono refrigerio e riposo: queste valli è il mio Amato per me.
Le isole remote.
8 - Le isole remote sono circondate dal mare nel quale si sperdono, sono molto remote e lontane dalle comunicazioni umane. E così nascono e crescono in esse prodotti molto diversi da quelli delle nostre regioni, di forme strane e dotati di virtù sconosciute, che riescono affatto nuovi e suscitano meraviglia in chi li vede. A causa quindi delle grandi e mirabili novità e delle nozioni straordinarie e lontane dalla conoscenza comune che l'anima percepisce in Dio, lo chiama isole remote.
Un uomo viene considerato remoto perché vive appartato dalla gente, o perché per le sue azioni si distingue dagli altri. Per questi due motivi l'anima dà a Dio l'appellativo di remoto: non solo perché Egli compendia in sé tutta la lontananza delle isole sconosciute, ma anche perché straordinarie, nuove e mirabili sono le sue vie, i suoi consigli e le sue opere. Non c'è da meravigliarsi che il Signore sia lontano dagli uomini che non l'hanno veduto, dal momento che lo è anche dagli Angeli e dalle anime che lo vedono; infatti costoro non ne esauriscono mai la conoscenza, anzi non riusciranno mai a comprenderlo e fio no all'ultimo giorno del giudizio scopriranno in Lui tante verità circa i suoi profondi giudizi e le opere della sua misericordia e giustizia, che riusciranno sempre nuove generando in loro sempre maggior meraviglia. Per tale ragione non solo gli uomini ma anche gli Angeli lo possono chiamare isole remote. Solo per sé non è estraneo né nuovo.
Le acque rumorose.
9 - I fiumi hanno tre proprietà: la prima, che investono e sommergono tutto ciò che incontrano; la seconda, che riempiono tutte le cavità e i vuoti che trovano sul cammino; la terza, che fanno un rumore tale da coprire e confondere ogni altro suono. Poiché in questa comunicazione di Dio sente saporosamente in Lui queste tre proprietà, l'anima afferma che l'Amato è le acque rumorose.
Quanto alla prima proprietà c'è da sapere che l'anima vede ora il torrente dello spirito di Dio investirla e impossessarsi di lei con tanta forza da sembrarle di essere inondata da tutti i fiumi del mondo. Sente inoltre che lo esso vengono annegate tutte le azioni e le passioni per cui prima ella viveva. Non si creda però che una causa di tanta forza sia causa di tormento, poiché questi sono fiumi di pace, come fa capire il Signore per le labbra. di Isaia allorché parla di questo rapimento: Ecce ego declinabo super eam quasi fluvium pacis et quasi torrentem inundanntem gloriam (66, 12), vale a dire: Ecco che io faro discendere sopra di lei e la investirò, cioè, l'anima, come un fiume di pace e come un torrente che ridonda di gloria. E così con questo modo di investire, simile a quello. di acque rumorose, Dio riempie l'anima di pace e di gloria.
La seconda proprietà percepita dall'anima è quella che in questo tempo l'acqua divina riempie le bassezze della sua umiltà e i vuoti dei suoi appetiti, secondo quanto dice S. Luca: Exaltavit humiles, esurientes implevit bonis, vale a dire: Esaltò gli umili e colmò di beni i famelici (I, 52).
La terza proprietà che l'anima sente in q~e~te acque rumorose dell'Amato è un suono o una voce spirituale superiore ad ogni altra voce, che rende nulla ogni altra, suono che eccede ogni altro suono del mondo.
Mi fermerò un po' per spiegare come ciò avvenga.
10 - Questa voce o suono rumoroso delle acque di cui si parla riempie l'anima di beni tanto copiosi e le dà una forza così potente che a lei sembra di. udire non. solo un rumore di fiumi, ma piuttosto uno strepito di tuoni. Questa però è una voce spirituale che non è accompagnata da suoni sensibili con la loro pena e molestia, ma da grande forza, potenza, diletto e gloria; è quindi, come una voce e un suono interiore immenso che riveste l'anima di potenza e di forza. Tale voce spirituale o suono riecheggiò nell'animo degli Apostoli allorché, come narrano gli Atti (2 2) lo Spirito Santo discese su di loro come un torrente impetuoso. Affinché fosse capita la voce spirituale che lo Spirito faceva loro udire interiormente, all'esterno del cenacolo si udì il rumore di un vento impetuoso, percepito da tutti gli abitanti di Gerusalemme. Per mezzo di esso, ripeto, veniva indicato il dono ricevuto nell'anima dagli Apostoli, cioè la potenza e la forza di cui venivano riempiti.
Secondo S. Giovanni, discese una voce dal cielo anche su Nostro Signore mentre stava pregando il Padre in mezzo alle angustie e alle afflizioni procurategli dai suoi avversari; si trattava di una voce interiore dalla quale fu confortato nell'umanità, il cui suono ai Giudei sembrò cosi grave e impetuoso che gli uni affermarono essere stato un tuono e gli altri che gli aveva parlato un Angelo del cielo (12, 28).
Invece per mezzo di quella voce udita all'esterno si voleva far capire simbolicamente la forza e il potere che il Cristo riceveva interiormente nella sua umanità.
In seguito a quanto è stato detto non si deve concludere che l'anima cessa di ricevere nell'intimo il suono della voce spirituale. Si deve anzi notare che la voce spirituale è l'effetto prodotto da essa nell'anima, come quella sensibile imprime il suono nell'udito e l'idea nello spirito. David vuol far capire la cosa allorché dice: Ecce dabit voci suae vocem virtutis, che vuol dire: Ecco che Dio darà alla sua voce una voce di virtù (Sal. 67, 34). Questa virtù è la voce interna poiché l'espressione di David: darà alla sua voce voce di virtù vuol dire: alla voce esteriore, sensibile all'esterno, darà la virtù di quella interiore. E quindi poiché Dio è una voce infinita, comunicandosi all'anima nel modo suddetto, produce in lei l'effetto di una voce, immensa.
11 - Una voce simile udì S. Giovanni. Nell'Apocalisse. egli afferma che la voce da lui udita in cielo erat tamquam vocem acquarum multarum et tamquam vocem tonitrui. magni (14, 2), cioè la voce da lui udita era simile al rumore di molte acque e a quello di un grande tuono. Affinché poi non si intenda che essa, perché cosi grande, fosse anche penosa e aspra, soggiunge subito che era soave: Erat sicut citharoedorum citharizantium in citharis suis, vale a dire:
Era come quella di molti citaredi che suonavano le loro cetre. Ezechiele (I, 24) afferma che questo rumore simile a quello di molte acque era quasi sonum sublimis Dei, cioè come suono dell'Altissimo Dio, che in maniera sublime e soave si comunicava in questa voce infinita. Infatti è Dio stesso che si comunica in essa, producendo una voce nell'anima, ma si adatta a ciascuna, dandole una voce di virtù secondo le sue capacità, producendo in lei molto diletto ed esaltandola. Perciò, la sposa dice nel Cantico (2, 14): Sonet vox tua in auribus meis, vox enim tua dulcis - Risuoni la tua voce nelle mie orecchie, poiché essa è dolce.
Segue il verso:
il sibilo delle aure amorose.
12 - Di due cose parla l'anima in questo verso: delle aure e del sibilo.
Per aure amorose si intendono le virtù e le grazie dell'Amato, che per mezzo dell'unione con lo Sposo investono l'anima comunicandosi in maniera amorosa e toccandola nella sostanza.
Il nome di sibilo di queste aure viene dato ad una sublime e saporosa intelligenza di Dio e delle sue virtù, che ridonda nell'intelletto prodotta dal tocco di queste virtù divine nella sostanza dell'anima. Questo diletto è più sublime di tutti quelli gustati dall'anima in questo stato.
13 - Per comprendere meglio la cosa c'è da notare che, come nell'aria si percepiscono due fenomeni, il tocco e il sibilo o rumore, cosi in questa comunicazione dello Sposo si percepiscono due effetti, cioè il sentimento del diletto e l'intelligenza. Inoltre come il tocco dell'aria si gusta con il tatto e il sibilo con l'udito, così il tocco delle virtù dell'Amato si sente e si gusta nel tatto dell'anima, cioè nella sua sostanza, e la loro intelligenza si percepisce nell'udito dell'anima, vale a dire, nell'intelletto. Spira veramente una aura. amorosa allorché essa ferisce piacevolmente rendendo soddl~fatto. l:appetito di chi desiderava tale refrigerio. Allora Infatti il senso del tatto viene rallegrato e sollevato e con questa gioia del tatto l'udito prova un diletto neÌ suono e nel sibilo dell'aria, molto maggiore di quello che prova il tatto al tocco dell'aura, poiché esso è più spirituale o, per dire meglio, si avvicina più del tatto a ciò che è spirituale per cui il godimento che produce è più spirituale di quello causato dall'altro senso.
14 - Poiché questo tocco divino soddisfa e rallegra grandemente la sostanza dell'anima, compiendone soavemente il desiderio che è quello di giungere ad unirsi con Dio, perciò anche a quest'unione o tocco ella dà il nome di aure amorose. Infatti in esso le vengono comunicate in modo amoroso e dolce le virtù dell'Amato, dal che deriva nell'intelletto il sibilo dell'intelligenza.
Lo chiama sibilo poiché come il sibilo causato dall'aria penetra acutamente nell'interno dell'orecchio così questa sottile e delicata intelligenza con mirabile 'sapore e diletto entra nell1Otimo della sostanza dell'anima il che costituisce un diletto maggiore di ogni altro. Ciò' accade perché le viene comunicata la sostanza intesa e nuda di accidenti e di fantasmi, dal momento che tale comunicazione viene data all'intelletto che i filosofi chiamano passivo o possibile, poiché la riceve passivamente, senza far mente da parte sua. Ciò costituisce il principale diletto dell'anima: avviene infatti nell'intelletto in cui come dicono i teologi, si gode della fruizione, cioè la visione di Dio.
Proprio perché questo sibilo significa l'intelligenza sostanziale, alcuni teologi pensano che il nostro Padre Elia mentre era sul monte, abbia veduto Dio in quel sibilo di aura soave che egli sentì presso l'apertura della sua caverna (I Re, 19, 12). La Sacra Scrittura lo chiama sibilo di aure delicate poiché dalla sublime e delicata comunicazione dello spirito gli nasceva l'intelligenza nell'intelletto. Qui l'anima lo dice sibilo di aure amorose poiché le ridonda nell'intelletto dell'amorosa comunicazione delle virtù dell'Amato. Ecco la ragione del sibilo delle aure morose.
15 - Questo sibilo divino che penetra nell'udito dell'anima non solo è una sostanza appresa, ma è anche una scoperta delle verità divine e una rivelazione dei segreti nascosti di Dio. Quasi ogni volta che nelle Sacre Scritture si parla di comunicazione divina che penetra nell'udito, si tratta di una manifestazione di queste verità nude all'intelletto o di rivelazione dei segreti di Dio, rivelazioni o visioni del tutto spirituali concesse all'anima sola, senza l'aiuto dei sensi; perciò è molto sublime e certo quanto si dice che viene comunicato da Dio attraverso l'udito.
Per far capire la profondità della rivelazione ricevuta, S. Paolo non dice: Vidit arcana verba, e neppure: Gustavit arcana verba, ma: Audivit arcana verba, quae non licei homini loqui (2 Cor. 12, 4), come per affermare: Ho udito parole arcane, che non possono essere pronunziate da uomo. Da tale espressione si suppone che anche egli abbia avuto la visione di Dio nel sibilo, come l'ebbe il nostro Padre Elia.
Infatti come la fede, secondo S. Paolo (Rom. 10, 17), entra per mezzo di uno dei sensi del corpo, l'udito, così anche quanto essa ci dice, cioè la sostanza appresa, entra per mezzo dell'udito dello spirito. La cosa ci viene fatta comprendere dal profeta Giobbe il quale parlando con Dio che gli era apparso dice: Auditu auris audivi te, nunc autem oculus meus videte te, cioè: Ti ho udito con l'orecchio, ed ora ti vede il mio occhio (42, 5). In questo testo si fa intendere in maniera chiara come udire Dio con l'orecchio dell'anima sia vederlo con l'occhio dell'intelletto passivo ai cui ho parlato. Perciò non dice: Ti ho udito con l'udito delle mie orecchie, ma del mio orecchio; e non: Ti ho visto con i miei occhi, ma con il mio occhio, che è l'intelletto. Dunque per l'anima udire è vedere con l'intelletto.
16 - Il fatto che oggetto dell'intelletto dell'anima sia la nuda sostanza non ci deve far concludere che essa goda ora, come in cielo, della fruizione perfetta. Infatti, pur essendo nuda da accidenti, la visione attuale non è chiara ma oscura, giacché è contemplazione la quale in questa vita come afferma S. Dionigi, è un raggio di tenebra. Perciò possiamo dire soltanto che essa è un raggio e una immagine della fruizione in quanto che come questa avviene nell'intelletto.
Tale sostanza appresa, a cui l'anima dà il nome di sibilo, sono gli occhi desiati. Siccome il senso, dopo che gli sono stati scoperti dall'Amato, non li ha potuti sopportare, l'anima ha detto: Allontanali, Amato!
17 - Mi sembra che ora cada a proposito una testimonianza di Giobbe, la quale conferma gran parte di quanto è stato detto circa questa estasi e questo fidanzamento. Perciò anche se dovrò prolungarmi alquanto la riferirò, e spiegherò quelle parti che fanno al caso nostro. Prima la citerò tutta in latino, poi tutta in volgare e quindi spiegherò ciò che fa per noi; fatto ciò, continuerò a commentare i versi dell'altra strofa.
Elifaz Temanite dice dunque in Giobbe (4, 12-16):
Porro ad me dictum est verbum absconditum, et quasi furtive suscepit auris mea venas susurri eius. In horrore visionis nocturnae, quando solet sopor occupare homines, pavor tenuit me et tremor, et omnia ossa mea perterrita sunt; et cum spiritus, me praesente, transiret, inhorruerunt pili carnis meae. Stetit quidam, cuius non agnoscebam vultum, imago coram oculis meis, et vocem quasi aurae lenis auudivi. Tradotta suona: Invero una arcana parola a me fu rivolta, e furtivamente percepì il mio orecchio il suo sussurro; nell'orrore della visione notturna, quando il sonno suole incombere sugli uomini, m'incolse uno spavento e un tremito e tutte le mie ossa furono scosse. E mentre lo spirito passava dinanzi a me, inorridì la pelle del mio corpo; mi si fermò dinanzi uno che non conobbi all'aspetto, una immagine ristette davanti ai miei occhi e udii una voce quasi di bisbiglio.
Questo testo contiene quasi tutto ciò che è stato detto fin qui intorno all'estasi, dalla strofa 12 l che dice: Allontanali, Amato! Infatti le parole di Elifaz Temanite: Una arcana parola mi fu rivolta significano quelle cose nascoste concesse all'anima la quale, non potendone sostenere la grandezza, esclama:Allontanali, Amato!
18 - «Le vene del sussurro percepito furtivamente dall'orecchio»' del profeta significano la nuda sostanza ricevuta dall'intelletto; infatti le vene sono simbolo di questa sostanza interiore e il «sussurro» della comunicazione e del tocco potente mediante il quale la suddetta sostanza appresa viene data all'intelletto. L'anima usa il termine « sussurro» perché tale comunicazione è molto soave, mentre in altro luogo l'ha chiamata «aura amorosa» perché infusa amorosamente. Inoltre essa afferma di averla ricevuta « furtivamente» per indicare che questo segreto, naturalmente parlando, non appartiene all'uomo, allo stesso modo con cui un oggetto rubato non appartiene al ladro, ma ad altra persona. L'anima dunque, senza averne nessun diritto ha ricevuto ciò che esilia dalla sua natura, simile in ciò a S. Paolo al quale non era lecito manifestare il suo segreto (2 Coro 12, 4), per cui il profeta Isaia dice due volte: Il mio segreto è per me (24, 6).
Quando dice: «Nell'orrore della visione notturna, quando il sonno incombe sugli uomini, fui colto da spavento e da tremito », Giobbe fa intendere il timore e tremore prodotto naturalmente nell'anima da quel rapimento che secondo quanto è stato detto, non può essere sopportato dalla natura, a causa della comunicazione dello spirito di- Dio. Infatti con questa espressione il profeta fa capire che, come gli uomini quando vanno a riposare, nel dormiveglia, sogliono essere oppressi e intimoriti da qualche visione a cui essi danno il nome di incubo, così al momento di questo passaggio spirituale tra il sonno dell'ignoranza naturale e la veglia della conoscenza soprannaturale, ossia al principio del rapimento o dell'estasi, l'anima teme e trema a causa della visione spirituale che allora le viene concessa.
19 - Soggiunge poiché «tutte le sue ossa furono scosse e si conturbarono », quasi volesse far capire che si commossero e si staccarono dalle congiunture, mettendo in risalto il grande slogamento di ossa a cui la persona spirituale va incontro in questo tempo. Daniele descrive bene questo fenomeno quando vedendo l'Angelo dice: Domine, in visione tua dissolutae sunt compages meae, cioè: Signore, durante la tua visione, le giunture delle mie ossa si sono slogate (10, 16).
Quindi prosegue: «mentre lo spinto passava dinanzi a me », facendo oltrepassare al mio i suoi limiti e le sue: vie naturali per mezzo del rapimento, «inorridì la pelle del mio corpo », facendo comprendere in ciò quanto è stato detto del corpo, il quale in questo rapimento, come un; cadavere, rimane gelido e con le membra irrigidite.
20 - Dice inoltre il profeta: «Mi si fermò dinanzi uno, che non conobbi all'aspetto, un'immagine ristette dinanzi, ai miei occhi », Colui che gli si fermò dinanzi era Dio, il quale gli si comunicava in quella maniera. Soggiunge che, «non lo conobbe all'aspetto» onde far capire come in tale comunicazione o visione, quantunque sublime, non si conosce e non si vede né il volto né l'essenza di Dio. Però aggiunge che «un'immagine si fermò davanti ai suoi occhi s poiché, come è stato detto, l'intelligenza della parola re-. condita era profondissima come un'immagine e un raggio di Dio, la qual cosa però non equivale a vedere essenzialmente Dio. .
21- Conchiude quindi dicendo: «E udii una voce quasi come un bisbiglio » in cui viene simboleggiato. il sibilo delle aure amorose che è l'Amato. Però non bisogna credere che tali visite accadano sempre accompagnate da questi timori e sofferenze fisiche ciò accade, come è stato detto solo in coloro che muovono i primi passi nello stato di illuminazione e perfezione e durante tale genere di comunicazione, mentre in altri accadono con grande soavità.
Continua la spiegazione:
È come notte calma.
22 - In questo sonno spirituale che fa sul .petto dell'Amato, l'anima è pervasa e gusta la calma, il riposo e la quiete della notte pacifica, e insieme riceve un'abissale e oscura intelligenza divina. Perciò ella afferma che il suo Amato è per lei la notte calma,
molto vicina al sorger dell'aurora.
23 - Questa notte calma non è oscura, ma è come la notte quando sta per spuntare l'aurora. Infatti, questa calma o quiete in Dio non è per l'anima oscura del tutto, come notte profonda, ma è pace e quiete nella luce divina di una nuova conoscenza di Dio, in cui lo Spinto se ne sta soavissimamente quieto, elevato alla luce divina.
Perciò l'anima chiama giustamente questa luce divina sorger dell'aurora cioè mattino; infatti come l'apparire del mattino disperde l'oscurità della notte e scopre la luce del giorno così questo spirito riposato e quieto in Dio dalle tenebre della conoscenza naturale viene elevato alla luce mattinale della conoscenza soprannaturale di Dio, non manifesta ma oscura come la notte molto vicina al sorgere dell'aurora. Come la notte al sorgere dell'alba non è né tutta notte, né tutta giorno, ma fra due luci, così questa solitudine o riposo divino non è né informato pienamente dalla luce divina né è privo totalmente di essa.
24 - In questa pace l'intelletto si vede elevare con impensata novità sopra ogni naturale intendimento alla luce divina, come colui il quale dopo un lungo sonno apre gli occhi alla luce inattesa.
David vuole alludere a tale conoscimento allorché dice: Vigilavi et factus sum sicut passer solitarius in tecto (Sal. 101, 8) che vuol dire: Mi svegliai e divenni simile al. passero solitario. sul tetto. Come se dicesse: ho aperto gli occhi del mio Intelletto e mi sono trovato al di sopra di tutte le cognizioni naturali e solitario, cioè senza di esse, sul tetto, vale a dire al di sopra di tutte le cose umane.
Dice nel testo di. essere divenuto simile «al passero solitario» per che lo spirito in questo genere di contemplazione ha le stesse proprietà di tale uccello. Esse sono cinque: prima, il passero generalmente si pone nei luoghi più alti; anche lo spirito In questo grado si immerge in un'alta contemplazione; seconda, quello ordinariamente tiene il becco , rivolto verso la parte donde spira il vento, questo tiene l appetito rivolto verso quella parte da cui gli viene lo spirito d'amore, cioè Dio; terza, in generale il passero sta solo e non permette che gli stia vicino nessun altro uccello, poiché egli si allontana appena gli se ne posa vicino qualcuno; anche lo spirito in questa contemplazione se ne sta nella. solitudine di tutte le cose, nudo di esse, e non ammette In sé altra cosa che la solitudine in Dio' quarta, il passero canta molto soavemente, cosa che fa ~ questo stato anche lo spirito poiché innalza a Dio lodi di soavissimo amore, piacevolissime in sé e graziosissime al Signore; quinta, quell'uccello non ha un colore determinato. È così anche lo spirito perfetto il quale in questo rapimento non solo non ha alcun colore di affetto sensibile t di amor proprio, ma è anche alieno da ogni riflessione su cose spirituali e temporali, e non può neppure parlare di quel che prova, poiché quanto possiede è un abisso di notizie di Dio.
Musica silenziosa.
25 - Nel riposo e nel silenzio di questa notte e nella notizia concessale dalla luce divina, l'anima avverte una ammirabile e armoniosa disposizione della Sapienza nella varietà di tutte le creature e di tutte le opere. Si accorge che tutte e ciascuna di esse sono dotate di una certa corrispondenza con Dio, in forza della quale ciascuna a modo suo espone quello che Dio è in lei. Ne deriva quasi una armonia di musica sublime che trascende tutte le danze e le melodie del mondo.
L'anima dice che questa musica è silenziosa poiché, come è stato detto, essa è intelligenza riposata e quieta, senza rumore di voci: infatti in essa si gode la soavità della . musica e la quiete del silenzio. Perciò afferma che il suo Amato è questa musica silenziosa, giacché in Lui si conosce e si gusta questa armonia di musica spirituale. Ma non basta, poiché è anche:
solitudin sonora,
26 - espressione che quasi equivale a musica silenziosa poiché quantunque quella musica sia silenziosa per i sensi e le potenze naturali, è solitudine molto sonora per le potenze spirituali, le quali, perché sole e vuote di ogni forma e apprensione naturale, possono ben ricevere nello spirito e in maniera molto sonora il suono spirituale dell'eccellenza di Dio, in sé e nelle sue creature, secondo quanto S. Giovanni ha veduto nell'Apocalisse e cioè: Una voce di molti citaredi che suonavano sulle loro cetre (14, 2).
Il Santo percepì nello spirito tale voce, che però non era prodotta da cetre materiali, ma da una certa conoscenza delle lodi di gloria che ciascun beato a suo modo rende continuamente a Dio. Essa è simile a una musica, poiché come ciascuno possiede i suoi doni in modo diverso così ciascuno canta la sua lode in maniera diversa formando un'armonia d'amore, come accade nella musica.
27 - Allo stesso modo per mezzo di quella sapienza tranquilla l'anima vede in tutte le creature, sia superiori che inferiori, a seconda di quanto ciascuna ha ricevuto da Dio, che ciascuna a suo modo dà una sua voce di testimonianza a Dio e gli rende gloria possedendolo in maniera conforme alle proprie capacità. E così tutte queste voci formano un'armonia musicale di grandezza, di sapienza e di scienza mirabile di Dio.
Ciò vuole esprimere lo Spirito Santo nel libro della Sapienza quando dice: Spiritus Domini replevit orbem terrarum, et hoc quod continet omnia, scientiam habet vocis (I, 7). Vuol dire: Lo Spirito del Signore ha riempito l'orbe della terra e questo mondo che contiene tutte le cose fatte da Lui ha la scienza della voce, possiede cioè la solitudin sonora che, come dico, l'anima conosce ora, cioè la testimonianza che tutte le cose in se stesse danno a Dio. L'anima la dice musica silenziosa e solitudin sonora perché riceve questa musica sonora solo nella solitudine e nella lontananza da tutte le cose esteriori. Inoltre aggiunge che il suo Amato è:
cena che ristora e che innamora.
28 - Per gli amanti la cena è sollievo, sazietà e amore.
Poiché l'Amato in questa soave comunicazione genera nell'anima queste tre cose, ella lo dice cena che ristora e che innamora. C'è da notare che nella Sacra Scrittura vien dato il nome di cena alla visione divina poiché, come la cena segna il termine del giorno e il principio del riposo notturno, così la notizia di cui è stato parlato, fa sentire all'anima la fine certa dei mali e il possesso dei beni, in cui più di prima ella si innamora di Dio. Perciò il Signore è per lei la cena che ristora perché fine dei mali e che innamora perché diventa per lei possesso di tutti i beni.
29 - Ma affinché si sappia meglio come sia questa cena per l'anima, che non è altro che il suo Amato, conviene riferire ciò che Egli stesso dice nell'Apocalisse: lo sto alla porta e chiamo; se alcuno mi aprirà, entrerò e cenerò con lui ed egli con me (3, 20). Con queste parole il Signore fa comprendere che Egli porta con sé la cena, la quale non è che il suo sapore e i suoi diletti di cui Egli stesso gode, e che Egli, unendosi con l'anima, glieli comunica e così anch'essa gode. Questo significa « io cenerò con lui ed egli con me ». In questo passo quindi si fa comprendere l'effetto dell'unione divina dell'anima con Dio, in cui vengono comunicati a lei i beni stessi del Signore, perché Egli glieli comunica graziosamente e largamente. E così Egli stesso è per lei cena che ristora e che innamora, poiché largheggiando con lei la ricrea ed essendo grazioso l'innamora.
30 - Prima di affrontare la spiegazione delle altre strofe è necessario ricordare che, quantunque sia stato detto che in questo stato del fidanzamento l'anima gode di piena tranquillità e riceve tutto ciò che è possibile in questa vita, tale tranquillità va intesa solo secondo la parte superiore (poiché la parte sensitiva, fino al matrimonio spirituale non finisce mai di liberarsi dai suoi difetti, né di sottomettere interamente le sue forze, come si dirà in seguito). Ciò che viene comunicato all'anima è il massimo che le si possa concedere in ragione dello sposalizio, poiché nel matrimonio vi sono vantaggi maggiori. Quantunque nelle visite del fidanzamento l'anima goda tutto quel bene di cui è stato parlato, tuttavia soffre assenze, turbamenti e molestie dalla parte inferiore e dal demonio, tutte cose che cessano con il matrimonio spirituale.
NOTA SULLA STROFA SEGUENTE
1- Poiché la sposa possiede nell'anima le virtù giunte ormai al loro grado di perfezione, in cui ella gode pace continua nelle visite dell'Amato, alcune volte gusta in modo sublime la loro soavità e fragranza per il tocco che vi fa l'Amato nella stessa maniera in cui si gusta la bellezza e il profumo dei gigli e di. altri fiori. quando sono sbocciati e si toccano. In molte di queste visite l'anima illuminata dalla luce di Dio vede nel proprio spirito tutte le virtù che possiede; ella allora, con mirabile diletto e dolcezza di amore, le unisce tutte e come un mazzo di bei fiori le offre all'Amato, il quale ricevendole le gradisce molto.
Tutto ciò avviene nell'intimo dell'anima, dove ella sente che l'Amato riposa come nel suo proprio letto, poiché ella gli offre se stessa insieme con le virtù. Questo è il più grande servizio che può prestare al Signore, e perciò, uno dei maggiori diletti che nei rapporti interiori con Dio ella può ricevere, è questo dono che fa all'Amato.
2 - Ma il demonio, che per la sua grande malizia invidia tutto il bene che scorge nell'anima, conoscendo la prosperità di lei, si serve di tutta la sua abilità e mette in moto tutte le sue arti per disturbare in lei una parte, per quanto piccola, di questo bene. Preferisce impedire a tale anima un minimo delle sue ricchezze e del suo glorioso diletto, che farne cadere molte altre in molti e gravi peccati: poiché queste hanno poco o niente da perdere, quella invece ha molto, avendo fatto un acquisto grande e molto prezioso: perdere una piccola quantità di oro purissimo è danno maggiore che perdere grande quantità di altro metallo di poco prezzo.
Il demonio qui si approfitta degli appetiti sensitivi (quantunque su di essi nello stato presente il più delle volte possa poco o niente, perché sono già mortificati) e se con essi non raggiunge il suo scopo, rappresenta all'immaginazione molte varietà. Talvolta solleva molto movimento nella parte sensibile, come poi si dirà, e causa altre molestie sia spirituali che sensitive di cui l'anima non si può liberare finché il Signore non invii il suo Angelo - come si legge nel Salmo (33, 8) - presso coloro che lo temono e li liberi, stabilendola nella pace e nella tranquillità sia nella parte sensitiva che spirituale.
L'anima per esprimere tutto ciò e chiedere questo favore, timorosa per l'esperienza che ha delle astuzie usate dal demonio per danneggiarla in questo tempo, parlando con gli Angeli, il cui ufficio è quello di proteggerla mettendo in fuga i demoni, canta la strofa seguente:
STROFA 16
Prendeteci le volpi,
ché fiorita è ormai la nostra vigna,
mentre che noi di rose
intrecciamo una pina,
non compaia nessun sulla collina.
SPIEGAZIONE
3 - L'anima dunque, desiderando che questo diletto interiore di amore, che è il fiore della sua vigna continui e non le sia impedito né dagli invidiosi e maliziosi demoni, né dai furiosi appetiti della sensualità, né dal vario andirivieni dell'immaginazione, né da nessun'altra notizia e presenza di cose, prega gli Angeli di cacciare e tenere lontano tutto ciò, di maniera che non possa impedire l'esercizio dell'amore interiore, nel cui diletto e sapore l'anima e il Figlio di Dio si comunicano e godono le virtù e le grazie. E quindi dice:
Prendeteci le volpi,
ché fiorita è ormai la nostra vigna.
4 - Per vigna si intende il vivaio di tutte le virtù che si trovano in questa anima santa e che le danno il vino dal dolce sapore. Questa vigna dell'anima è fiorita quando, secondo la volontà, è unita con lo Sposo e gode dilettandosi in Lui di tutte le virtù congiunte.
Ma a volte, come è stato detto, sogliono presentarsi alla memoria e alla fantasia numerose e varie forme di immagini e nella parte sensitiva numerosi e vari movimenti e appetiti. Essi sono molteplici e vari tanto che David, mentre beveva avidamente in Dio il saporoso vino dello spirito, sentendo che gli erano di impedimento e di molestia, dice: L'anima mia ha avuto sete in te. Quanto la mia carne anela a te! (Sal. 62, 2).
5 - L'anima chiama volpi tutta questa turba di appetiti e di movimenti sensitivi, a causa della grande somiglianza che in questo tempo hanno con esse. Infatti come le volpi, andando a caccia, si fingono addormentate per far preda, cosi tutti questi appetiti e tutte queste forze sensitive stanno quiete e addormentate finché i fiori di virtù non spuntano nell'anima, si aprono e si mettono in esercizio. Avvenuto ciò, sembra che anche i fiori degli appetiti e delle forze del senso si destino e si sollevino nella parte sensibile per contrastare allo spirito e per regnare. Fino a questo punto giunge, come dice S. Paolo, la cupidigia della carne contro lo spirito (Gal. 5, 17), la quale essendo grandemente inclinata verso le cose sensibili, mentre lo spirito gode,. si disgusta e diventa insipida. In tal modo gli appetiti arrecano grande molestia alle dolcezze dello spirito. Perciò l'anima dice: Prendeteci le Volpi.
6 - Ora anche i demoni maliziosi da parte loro recano molestia all'anima in due modi.
Primo, eccitano gli appetiti con violenza e servendosi di essi e di altre immaginazioni fanno guerra al pacifico e florido regno dell'anima.
Quando in tal modo non ottengono niente, la investono, ed è peggio, per distrarla con tormenti e rumori sensibili. Ma il male maggiore è che la combattono per mezzo di timori ed orrori spirituali, che a volte costituiscono un tormento terribile, il che ora possono fare molto bene, se viene loro permesso; poiché, mentre l'anima mediante il suo esercizio spirituale si pone in grande nudità di spirito, il demonio, che è spirito, con grande facilità può farsi presente a lei.
Altre volte, prima che incominci a gustare questi dolci fiori, quando cioè Dio incomincia a farla uscire alquanto dalla casa dei suoi sensi, affinché per mezzo di tale esercizio interiore entri nell'orto dello Sposo, il demonio l'assale con altri terrori. Egli sa bene che, una volta entrata in quel raccoglimento, l'anima resta così riparata che, per quanto si adoperi, non potrà farle alcun danno. Molto spesso, quando il demonio esce per impedirle il passo, avviene che ella con grande velocità si raccoglie nel profondo nascondiglio del suo intimo, dove trova grande diletto e protezione. Allora patisce quei terrori tanto esteriormente e alla lontana che non solo non le incutono terrore, ma anzi le causano gioia e allegrezza.
7 - Di questi terrori fa menzione la sposa nel Cantico dicendo: L'anima mia si conturbò a causa dei cocchi di Aminadab (6, Il), intendendo per Aminadab il demonio, chiamando cocchi i suoi assalti e attacchi per la grande violenza, confusione e rumore che produce con essi.
Soggiunge poi l'anima: Prendeteci le volpi, cosa che per lo stesso scopo viene detta anche dalla sposa dei Cantici: Prendeteci le piccole volpi che devastano le vigne; poiché la nostra vigna è fiorita (2, 15). Non dice: «Prendetemi », ma «Prendeteci », perché parla di sé e dell'Amato, essendo uniti e godendo insieme il fiore della vigna.
Dice qui che la vigna ha messo i fiori e non i «frutti» perché in questa vita, anche se nell'anima si godono le virtù con quella perfezione come è quella dell'anima di cui stiamo parlando, tuttavia è come goderle in fiore: solo in cielo si gusteranno in frutto.
Dice subito:
mentre che noi di rose
intrecciamo una pina.
che le sue. virtù si mettano tutte in evidenza e a posto, mostrandosi a lei e dandole grande soavità e diletto.
Ella sente che esse stanno in lei e in Dio tanto che le sembrano una vigna molto gradevole e fiorita, sua e di Lui, nella· quale ambedue si pascono e trovano la loro gioia. L'anima allora. riunisce tutte queste virtù, facendo atti squisiti di amore in Ciascuna di esse e m tutte insieme e così unite, con grande tenerezza di amore e soavità le offre all'Amato. In questo lavoro è aiutata da Lui, poiché senza il suo aiuto o favore ella non potrebbe fare questo mazzo di virtù e questa loro offerta al Signore. Perciò dice: Intrecciamo una pina.
9 - Dà il nome di pina a questo insieme di virtù poiché, come la pina è un frutto duro che contiene in sé molte parti dure e strette fortemente, che sono i pinoli così la pina di virtù fatta dall'anima per il suo Amato è' un solo complesso di perfezione di lei, la quale tenacemente e ordinatamente stringe e contiene. in sé molte perfezioni, potenti Virtù e ricchi doni. Infatti tutte le perfezioni le virtù e i doni si ordinano e convengono in un'unica perfezione dell'anima. Mentre tale perfezione si sta formando per mezzo dell'esercizio delle virtù e, già formata, viene offerta all'Amato da parte dell'anima in quello spirito di amore di cui .stiamo parlando, è necessario che vengano cacciate le volpi suddette, affinché non impediscano la comunicazione interiore dei due.
In questa strofa l'anima, per formare bene la sua pina, non solo chiede CIO, ma anche quanto si trova nel verso seguente:
non compaia nessun sulla collina.
10 - Anche per questo divino esercizio sono necessari la solitudine e l'allontanamento da tutte le cose che si potrebbero offrire all'anima, provenienti sia dalla parte inferiore dell'uomo, cioè dalla sensitiva, sia da quella superiore, che è la razionale, nelle quali è riposta l'armonia delle potenze e dei sensi di tutto l'uomo, armonia a cui qui è dato il nome di collina. Infatti, dimorando in essa tutte le notizie e gli appetiti della natura, come la selvaggina su! monte, in essa il demonio può far presa in tali appetiti e notizie per danneggiare l'anima.
Desidera che non compaia nessun sulla collina, vale a dire che non appaia dinanzi all'anima e allo Sposo nessuna rappresentazione o immagine di alcun oggetto appartenente a una qualsiasi di queste potenze e di questi sensi.
È come se dicesse: da tutte le potenze spirituali dell'anima, come l'intelletto, la memoria e la volontà, stia lontana ogni altra riflessione, affetto, distrazione, e da tutti i sensi e le potenze corporee, come l'immaginativa o fantasia, e i cinque sensi esterni, ogni forma, immagine o figura di oggetti e di opere naturali.
11 - L'anima dice ciò in quanto che in questo tempo di comunicazione con Dio è necessario che tutti I sensi, sia interni che esterni, siano in riposo e vuoti delle loro opere e dei loro oggetti, poiché in tal caso quanto più operano tanto più recano disturbo. Quando l'anima arriva all'unione interiore con Dio, le potenze spirituali e tanto più quelle corporee, non vi possono concorrere esse~d~ già compiuta l'opera di unione di amore. Cessano quindi di operare poiché, una volta raggiunta la meta, l'azione dei mezzi diventa inutile. Pertanto in questa condizione l'anima, insieme con l'Amato, non fa altro che restare in un esercizio amoroso in Dio, che è amare in comunicazione di amore.
Non compaia quindi nessun sulla collina; vi stia soltanto la volontà, donando se stessa e tutte le sue virtù all'Amato.
NOTA SULLA STROFA SEGUENTE
1 - Per una maggior comprensione della strofa seguente è necessario ricordare che l'assenza dell'Amato di cui l'anima soffre in questo stato di fidanzamento spirituale è molto dolorosa; talvolta anzi arriva ad un punto tale da non esservi altra pena che regga al confronto. Ciò accade perché come l'amore che l'anima ora porta a Dio è grande e forte, così, nella sua assenza, ella è grandemente e fortemente tormentata. Si aggiunga a tale pena la molestia molto grande che a questa epoca trova in ogni genere di tratto e comunicazione con le creature. Infatti, avendo ella un desiderio abissale dell'unione con Dio, qualunque cosa la trattenga è per lei molto grave e molesta. Le accade come alla pietra alla quale diventa violenta qualsiasi cosa che l'urta o la trattiene nello spazio, mentre con grande impeto e velocità sta avvicinandosi al suo centro. Inoltre poiché ha già assaporato queste dolci visite, l'anima le desidera più dell'oro e di ogni bellezza. Perciò, temendo molto di essere priva anche per un momento solo di una presenza tanto preziosa, l'anima parlando con l'aridità e con lo Spirito del suo Sposo, dice la strofa che segue:
STROFA 17
Férmati, o borea morto,
austro vieni, che susciti gli amori,
spira per il mio orto,
sì che corran gli odori
e l'Amato si pasca in mezzo ai fiori.
SPIEGAZIONE
2 - Oltre a quanto è stato detto, anche l'aridità di spirito può essere una causa che impedisce all'anima di assaporare la soavità interiore di cui si è già parlato. Temendo ciò, in questa strofa l'anima fa due cose: la prima è quella di impedire tale aridità chiudendole la porta per mezzo di una orazione e di una devozione continua, la seconda è quella di invocare lo Spirito Santo, affinché tenga lontano queste aridità, alimenti e cresca l'amore dello Sposo e le faccia praticare interiormente le virtù. Tutto ciò serve perché il Figlio di Dio, suo Sposo, provi gioia e diletto in lei, che desidera solo contentare l'Amato.
Férmati, o borea morto!
3 - La tramontana è un vento molto freddo che dissecca e fa morire i fiori e le piante o, per lo meno, colpendole le fa raggrinzire e chiudere. Poiché l'aridità spirituale e l'assenza affettiva dell'Amato producono lo stesso effetto nell'anima spegnendo in lei il gusto, il sapore e la fragranza delle virtù, perciò vengono chiamate borea morto, in quanto che hanno mortificate tutte le virtù e l'esercizio affettivo che l'anima aveva. Per tale ragione essa dice:Fermati, o borea morto! Queste parole vanno intese nel senso che è un atto di orazione e di esercizi spirituali che tiene lontana l'aridità.
Ma poiché le comunicazioni che Dio fa all'anima in questo stato sono tanto interiori che da sé non può metterle in atto né gustarle con nessuna azione delle sue potenze, se lo Spirito dello Sposo non fa in lei una mozione di amore, ella lo invoca dicendo:
austro vieni, che susciti gli amori.
4 - L'austro è un altro vento che volgarmente si chiama libeccio: è piacevole, genera pioggia, fa germogliare le erbe e le piante, fa aprire i fiori diffondendone il profumo; produce effetti contrari a quelli della tramontana. L'anima dunque in questo luogo intende per vento lo Spirito Santo, dicendo di Lui che risveglia gli amori. Infatti, allorché questo vento divino la investe, l'infiamma tutta, la accarezza, la ravviva, ne risveglia la volontà e ne eccita gli appetiti, che prima erano affievoliti e addormentati all'amore di Dio, in maniera tale che si può ben dire che risveglia gli amori fra Lui e lei.
È quanto ella chiede allo Spirito Santo nel verso seguente:
spira per il mio orto.
5 - Questo orto è l'anima stessa. Come in precedenza essa è stata detta vigna fiorita perché i fiori di virtù presenti in lei producono un vino di dolce sapore, cosi ora viene chiamata orto, perché in lei sono piantati, nascono e crescono i fiori delle perfezioni o virtù di cui abbiamo parlato. C'è da notare come la sposa non dica spira nel ma per il mio orto, poiché v'è molta differenza fra lo spirare di Dio nel e per l'anima. Infatti spirare nell'anima significa infondere in essa grazia, doni e virtù; spirare per l'anima, esprime il tocco e la mozione nelle virtù e perfezioni già concesse rimovendole e movendole in modo tale da far loro emettere una mirabile fragranza e soavità. Fan come le spezie aromatiche le quali, quando vengono maneggiate, spargono il loro forte profumo, che prima non si sentiva in modo cosi acuto. L'anima non sempre sente e gusta attualmente le virtù che ha in sé acquisite o infuse poiché, come sarà detto, durante la vita se ne stanno come fiori chiusi nel germoglio o come spezie aromatiche coperte, il cui odore non si sente finché non vengono scoperte o mosse.
6 - Ma qualche volta Dio fa all'anima sposa la grazia di aprire tutti questi germogli di virtù e di scoprire queste spezie aromatiche di doni, di perfezioni e di ricchezze, spirando con il suo divino Spirito per il suo orto fiorito. E così, aprendo il tesoro e il capitale interiore, ne manifesta tutta la bellezza. È allora cosa meravigliosa a vedere e soave a sentire in qual modo si scopre a lei la ricchezza dei doni e la bellezza di questi fiori di virtù, già tutti aperti, e come ciascuno le dia l'odore di soavità inestimabile che gli è proprio.
Per questo fatto ella parla di odori che corrono per l'orto, allorché nel verso seguente dice:
sì che corran gli odori.
7 - Essi talvolta sono così abbondanti che all'anima pare di essere rivestita di diletti e immersa in una gloria inestimabile; di ciò non solo ha esperienza nell'intimo, ma la sente ridondare fuori di modo che se ne accorgono coloro che sanno avvertirlo, ai quali poi sembra che l'anima si trovi come in un giardino delizioso, pieno di diletti e di ricchezze di Dio. Si vede ciò in tali anime sante non solo quando questi fiori sono aperti, ma anche ordinariamente traspare in esse una certa non so quale grandezza e dignità che genera negli altri venerazione e rispetto a causa dell'effetto soprannaturale che si diffonde in esse dalla vicinanza e dalla familiare comunicazione con Dio. Così nell'Esodo (34, 30) si parla di Mosè: gli altri non potevano guardarlo in volto a causa della gloria e della dignità rimaste in lui per aver trattato faccia a faccia con Dio.
8 - Nello spirare dello Spirito Santo per l'anima, che è per lei una visita amorosa, il Figlio di Dio, suo Sposo, le si comunica in un modo sublime. Perciò prima le manda, come agli Apostoli, il suo Spirito, che, come precursore, gli prepari l'alloggio nell'anima sposa, elevandola in delizie, disponendone l'orto a suo piacere, facendone sbocciare i fiori, scoprendone i doni e ornandola con la tappezzeria delle sue grazie e ricchezze.
Perciò l'anima desidera ardentemente che la tramontana se ne vada, venga l'austro che spiri per l'orto, poiché ella in ciò guadagna insieme molte cose. Infatti guadagna di poter- godere delle virtù che si trovano al punto in cui vengono esercitate con gusto, vi gioisce dell'Amato, perché, per loro mezzo, Egli si dà a lei con amore più intimo facendole grazie più singolari che per il passato. A causa di questo esercizio di virtù, ella ottiene che 1'Amato si compiaccia di più in lei, il che è quanto di più a lei fa piacere, quello cioè di dar piacere a Lui; e infine guadagna che tale sapore e soavità delle virtù si protragga per tutto il tempo in cui lo Sposo è presente in lei nel modo detto mentre la sposa gli dà soavità con le sue virtù, secondo quanto ella dice nel Cantico: Mentre il re giaceva nel suo letto,. cioè nell'anima mia, il mio arboscello profumato sparse odore di soavità (I, II). Per arboscello profumato si intende l'anima stessa che dai fiori di virtù che possiede emana profumo di soavità verso l'Amato, che dimora in lei con questo genere di unione.
9 - Pertanto si deve desiderare molto quest'aura divina dello Spirito Santo; ogni anima lo preghi di spirare per il suo orto, affinché vi scorrano i suoi divini odori. Essendo ciò tanto necessario e di tanto bene e gloria per l'anima, la sposa dei Cantici lo desidera e lo chiede con queste parole: Levati di qui, o tramontana e vattene, e tu, o austro, vieni e spira per il mio orto; e scorreranno le sue odorose e preziose spezie (4, 16).
L'anima desidera questo non per il diletto e la gloria che ne seguono, ma perché sa che è cosa gradita al suo Sposo ed è preannunzio e predisposizione alla venuta del Figlio di Dio, a dilettarsi in lei. Perciò soggiunge subito:
e l'Amato si pasca in mezzo ai fiori.
10 - Con il nome di pascolo l'anima significa il diletto che il Figlio di Dio trova in lei in questo periodo. Usa un termine molto proprio, poiché il pascolo o cibo è una cosa che non solo dà gusto ma anche sostiene. Infatti il Figlio di Dio si compiace e si sostenta in lei, cioè vi persevera, come in un luogo dove trova grandemente le sue compiacenze, poiché anche il luogo si ricrea grandemente in Lui. Credo che ciò sia quanto Egli ha voluto dire per mezzo di Salomone nei Proverbi (8, 31): Le mie delizie sono con i figli degli uomini, quando essi si dilettano di stare con me che sono Figlio di Dio.
C'è da notare che non dice “si pascerà di fiori”, ma in mezzo ai fiori. Poiché la comunicazione e i diletti dello Sposo avvengono nell'anima mediante il corredo delle virtù suddette, ne segue che ciò di cui Egli si pasce è l'anima stessa trasformandola in sé, essendo ella già preparata, condita e resa atta con i fiori delle virtù, dei doni e delle perfezioni, che sono come la salsa con cui e entro cui si pasce, le quali, per mezzo dell'Ospite suddetto, vanno offrendo a Dio nell'anima sapore e soavità affinché per loro mezzo trovi un pascolo migliore nell'amore di lei. Questa infatti è la qualità dello Sposo: quella di unirsi con l'anima in mezzo alla fragranza di questi fiori.
Anche la sposa dei Cantici, come colei la quale conosce molto bene la natura dello Sposo, parla della cosa dicendo: Il mio Diletto è disceso nel suo orto all'erica e all'arie delle spezie aromatiche odorose, per pascerei nell'orto e cogliere i gigli (6, I). Quindi aggiunge: lo per l'Amato e l'Amato per me, che si pasce tra i gigli (6, 2), vale a dire, che trova diletto nell'anima mia, che è l'orto, fra i gigli delle mie virtù, perfezioni e grazie.
NOTA SULLA STROFA SEGUENTE
I - In questo stato di fidanzamento spirituale l'anima, vedendo le sue doti eccellenti e le sue grandi ricchezze e conoscendo di non poterle possedere e godere come vorrebbe a causa della sua dimora nel corpo, spesso soffre molto, specialmente quando tale cognizione le si avviva di più. Infatti si accorge di stare nel corpo come un grande signore nel carcere, soggetto a mille miserie, il quale, spogliato del regno e di tutte le sue ricchezze, del suo dominio e del suo patrimonio non riceve altro che un cibo molto scarso. Tutti possono immaginare quanto egli può soffrire, specialmente osservando come anche i suoi stessi servi e schiavi gli siano poco soggetti, anzi in ogni occasione senza alcun rispetto insorgono contro di lui fino a voler togliergli il boccone dal piatto. Infatti, appena Dio fa all'anima la grazia di farle assaggiare qualche boccone dei beni e delle ricchezze che tiene apparecchiate per lei, subito nella parte sensitiva si solleva qualche cattivo servo di appetiti, ora uno schiavo di un moto disordinato, ora altre ribellioni di questa parte inferiore, per impedirle questo bene.
2 - In tal caso l'anima sente di essere come m un paese nemico, tiranneggiata dagli stranieri e quasi morta fra morti, sperimentando bene ciò che fa intendere il profeta Baruc, quando mette in risalto questa miseria nella schiavitù di Giacobbe: Quale è il motivo per cui Israele se ne sta nella terra dei nemici? Invecchiasti in terra straniera, ti sei contaminato con i morti e ti hanno stimato simile a quelli che discendono nell'inferno (3, IO-II). E Geremia, comprendendo questo misero trattamento che l'anima patisce dalla schiavitù del corpo, parlando con Israele, dice in senso spirituale: Forse Israele è un servo o uno schiavo, perché è così prigioniero? Sopra di lui ruggirono i leoni (Ger. 2, 14), intendendo per leoni gli appetiti e le ribellioni del re e tiranno della sensualità.
L'anima dunque per dimostrare il disturbo che ne riceve e per esprimere il desiderio che questo regno della sensualità con tutti gli eserciti delle sue molestie finisca una buona volta o si assoggetti del tutto, elevando gli occhi verso lo Sposo, come a colui che deve far tutto ciò, e rivolgendosi ai moti e alle ribellioni suddette, dice la strofa seguente:
STROFA 18
o ninfe di Giudea,
mentre che in mezzo ai fiori e ai roseti
l'ambra sparge il profumo,
nei borghi dimorate,
toccar le nostre soglie non vogliate.
SPIEGAZIONE
3 - In questa strofa parla la sposa la quale, vedendosi posta dall'Amato secondo la parte superiore spirituale in così ricchi e vantaggiosi doni e diletti, desiderando avere quel perenne e sicuro possesso che, secondo le due strofe precedenti, le è stato accordato da Lui, constatando che ciò le potrebbe essere impedito o disturbato dalla parte inferiore, cioè dalla sensualità che di fatto le impedisce tanto bene, chiede alle azioni e ai moti di questa di quietarsi nelle potenze e nei sensi e di non oltrepassare i limiti del proprio campo, quello della sensualità, per non molestare e inquietare la porzione superiore e spirituale, onde non impedirle neppure con un minimo movimento il bene e la soavità di cui gode. Infatti se i movimenti e le potenze della parte sensitiva operano quando lo spirito gode, quanto maggiori sono la vivezza e la virtù di cui sono dotati, tanto maggior molestia le recano.
L'anima dunque dice:
o ninfe di Giudea!
4 - Chiama Giudea la parte inferiore dell'anima, cioè quella sensitiva, perché essa di suo è fiacca, carnale e cieca, come la gente giudaica.
Dà il nome di ninfe a tutte le sue immagini, fantasie, moti e affetti. Infatti [come le ninfe] per mezzo del loro affetto e della loro grazia attirano a sé gli amanti, così queste opere e movimenti della sensibilità in maniera dilettosa e forte cercano di attrarre a sé la volontà della parte razionale sottraendola ai beni interiori per indurla a volere quelli esteriori voluti e desiderati da loro. Muovono anche l'intelletto incitandolo ad unirsi ed accoppiarsi con loro nel loro vile modo di agire, sforzandosi di conformare e unire la parte razionale con quella sensitiva.
Oh! voi dunque, operazioni e movimenti sensitivi!
mentre che in mezzo ai fiori e ai roseti.
5 - Fiori, come è stato detto, sono le virtù dell'anima, roseti le sue potenze, intelletto, memoria e volontà, le quali producono fiori di concetti divini, atti di amore e di virtù.
Dunque, mentre che in mezzo alle virtù e alle potenze dell'anima mia
l'ambra sparge il profumo.
6 - Ambra è lo spirito divino che dimora nell'anima e il profumo di ambra sparso tra i fiori e i roseti è il suo espandersi e comunicarsi dolcemente nelle potenze e virtù dell'anima, diffondendo per esse dentro di lei un profumo di soavità divina.
Pertanto, mentre questo divino spirito comunica soavità spirituale all'anima mia,
nei borghi dimorate,
7 - nei borghi di Giudea, cioè nella parte inferiore o sensitiva dell'anima. Quei borghi sono i sensi interni come la fantasia, la memoria, l'immaginativa, nei quali si raccolgono i fantasmi, ~ immagini e le forme delle cose mediante le quali la sensualità muove i suoi appetiti e desideri. Sono qui chiamate ninfe e mentre esse sono quiete e riposano, anche gli appetiti dormono.
Entrano nei sobborghi dei sensi interni attraverso le porte di quelli esterni che sono la vista, l'udito, l'odorato, ecc. In tal modo a tutte le potenze e a tutti i sensi sia interni che esterni della parte sensitiva possiamo dare il nome di sobborghi, che sono i quartieri periferici di una città. Città invece si chiama la parte più intima dell'anima, cioè quella razionale, la parte cioè che ha la capacità di comunicare con Dio e le cui opere sono contrarie a quelle della sensualità.
Ma poiché esiste uno scambio naturale tra le persone che dimorano nei sobborghi della parte sensitiva, persone a cui è stato dato l'appellativo di ninfe, e quelle della parte superiore, cioè della città, perciò quanto viene fatto in essa ordinariamente ha le sue ripercussioni nella parte più interna, la razionale, che è disturbata e inquietata nel tratto spirituale con il Signore. Per tale ragione l'anima invita quelle persone a rimanere nei sobborghi, vale a dire a starsene quiete nei loro sensi interni ed esterni.
Toccar le nostre soglie non vogliate.
8 - Cioè non toccate la parte superiore dell'anima, neppure con i moti primi, poiché questi sono le soglie e le porte per entrare dentro di lei. Quando tali moti da primi diventano razionali, ne varcano le soglie, mentre allorché sono semplicemente primi ne toccano solo la soglia o la chiamano alla porta, il che avviene quando la sensualità assale la ragione con qualche moto disordinato.
L'anima invita non solo questi movimenti a non toccare la sua porta, ma prega anche tutte le preoccupazioni ad allontanarsi, ché non concorrono al mantenimento della quiete e del bene in cui ella trova la sua gioia.
NOTA SULLA STROFA SEGUENTE
I - In questo stato l'anima è divenuta tanto ostile alla parte inferiore e alle sue operazioni da desiderare che Dio non comunichi ad essa niente di spirituale, quando lo comunica a quella superiore. Infatti ciò che quella riceve o deve essere molto poco o per la fiacchezza della sua condizione non lo può sopportare, senza che le forze spirituali vengano meno. Anche lo spirito quindi ne patisce e se ne affligge e così non può goderlo in pace, poiché, come osserva il Savio: Il corpo è di aggravio all'anima perché si corrompe (Sap. 9, 15). Perciò, desiderando le alte ed eccellenti comunicazioni divine senza poterle ricevere insieme con la parte sensitiva, l'anima desidera che Dio gliele faccia senza che essa ne partecipi.
Di quella sublime visione del terzo cielo avuta da San Paolo, durante la quale vide Dio, egli stesso dice che non sa se l'ebbe nel corpo o fuori di esso (2 Cor. 12, 2). Checché ne sia di ciò, è certo che il corpo non vi prende parte poiché, ID caso contrarie, esso se ne sarebbe dovuto accorgere e la visione non sarebbe stata cosi sublime come dice l'Apostolo quando afferma di aver udito parole tanto arcane che non è lecito all'uomo di riferire (Ibid. 4). Sapendo dunque molto bene che grazie si grandi non possono essere ricevute ID un vaso tanto angusto, l'anima desidera che lo Sposo gliele. faccia fuori del corpo, o per lo meno senza di esso e perciò, parlando con il Signore, lo prega di ciò nella strofa seguente:
STROFA 19
Nasconditi, o Diletto,
e volgi la tua faccia alle montagne,
e non voler parlarne,
ma guarda le compagne
di chi sen va per isole straniere.
SPIEGAZIONE
2 - Quattro cose chiede l'anima allo Sposo in questa strofa:
prima, che si degni di comunicarsi nel più intimo nascondiglio di lei;
seconda, che investa le sue potenze con la gloria e la grandezza della sua divinità;
terza, che ciò avvenga in maniera cosi profonda che non si voglia né si sappia dire e che superi ogni capacità della parte esteriore e sensitiva;
quarta, che si innamori delle numerose virtù che Egli
ha posto in lei con le quali va e sale a Lui per alte ed elevate notizie della divinità o per eccessi di amore molto singolari e diversi da quelli che ordinariamente le sogliono accadere.
E quindi dice:
Nasconditi, o Diletto,
3 - come se dicesse: Amato mio Sposo, raccogliti nel più intimo dell'anima, comunicandoti a lei di nascosto, manifestandole le tue meraviglie nascoste, lontane da ogni occhio mortale.
E volgi la tua faccia alle montagne.
4 - Faccia di Dio è la sua divinità, montagne sono le potenze dell'anima, memoria intelletto. e volontà. perciò è come se dicesse: con la tua divinità rivesti il mio intelletto Concedendogli cognizioni divine, la mia volontà dandole ~ comunicandole il divino amore, la memoria elargendole il divino possesso della gloria.
Con ciò l'anima chiede a Dio tutto ciò che gli può chiedere, poiché non si contenta più, come Mosè (Es. 33, 23) di una conoscenza e comunicazione di Lui visto di spalle, cioè di una conoscenza acquisita per mezzo degli effetti e opere, ma desidera vederlo di faccia con la comunicazione essenziale della divinità senza altro mezzo, per un certo contatto con essa, cosa che è lontana da ogni senso e accidente, trattandosi di un contatto tra la sostanza nuda dell'anima e quella di Dio.
Perciò dice subito:
e non voler parlarne,
5 - cioè, non ne parlare come in passato allorché mi facevi delle comunicazioni rendendole note ai sensi esterni, come cose di cui essi erano capaci, in quanto che non erano tanto alte e profonde che essi non le potessero raggiungere. Ora invece tali comunicazioni siano così sublimi, sostanziali ed intime da essere ignote ai sensi, in maniera cioè che essi non riescano a percepirle. Infatti la sostanza non si può comunicare ai sensi, e quindi ciò che cade sotto il loro dominio, specialmente in questa vita, non può essere puro spirito, perché non ne sono capaci.
Desiderando dunque questa comunicazione di Dio sostanziale ed essenziale, che trascende i sensi, l'anima chiede allo Sposo di non manifestarlo loro, come se dicesse: la profondità di questo nascondiglio dell'unione spirituale sia tale che il senso non arrivi a percepirla né ad esprimerla, perché simile ai segreti di S. Paolo i quali non era lecito manifestare agli uomini (2 Cor. 12, 4).
Ma guarda le compagne.
6 - È già stato detto che il mirare di Dio è amare e far grazia. Per compagne qui si intende la moltitudine delle virtù, dei doni, delle perfezioni e delle ricchezze spirituali date da Dio all'anima come pegno e come gioielli per il fidanzamento. Perciò è come se dicesse: ma prima, o Diletto, volgiti a guardare nel mio intimo, innamorandoti delle compagne, cioè delle virtù che vi hai posto, affinché, innamorato dell'anima per mezzo loro, ti nasconda e ti trattenga in lei giacché questi doni, anche se tuoi perché concessi da te, tuttavia avendoglieli dati, sono anche
di chi sen va per isole straniere,
7 - cioè dell'anima mia che viene a te servendosi di notizie straordinarie sul tuo conto e di modi e di vie lontane da ogni senso e dal modo comune di intendere ". È quindi come se dicesse, quasi per costringerlo a ventre incontro alla sua richiesta: poiché l'anima mia viene a te per mezzo di cognizioni estranee e lontane dai sensi, anche tu comunicati a lei in modo sublime, interiore e alieno da loro.
NOTA SULLA STROFA SEGUENTE
I - Per giungere a uno stato cosi alto di perfezione come è quello a cui ora l'anima aspira, cioè il matrimonio spirituale, non basta che ella sia monda e purificata da tutte le imperfezioni e ribellioni e dagli abiti imperfetti della parte inferiore la quale, spogliata dell'uomo vecchio, è già soggetta a quella superiore, ma è anche necessario che abbia una grande forza e un amore molto sublime per essere degna del forte e stretto amplesso di Dio. Infatti in questo stato l'anima non solo conquista una purezza e una bellezza grandi, ma anche una terribile forza a causa dello stretto e potente nodo che si stringe tra lei e Dio per mezzo di tale unione.
2 - Per giungere a Dio è dunque necessario che ella raggiunga il punto di una conveniente purezza, forza e amore. Per questo lo Spirito Santo, che è colui che interviene operando l'unione spirituale, desiderando che l'anima abbia le doti necessarie per meritarla, parlando con il Padre e con il Figlio, dice nel Cantico (8, 8-9): Che cosa faremo alla nostra sorella il giorno che si dovrà recare a far visita e a prender parte a conversazioni, essendo ancora, piccola e non avendo il petto ancora formato? Se ella è una muraglia, edifichiamoci sopra fortezze e baluardi di argento; e se è una porta, rivestiamola con tavole di cedro. Per «fortezze e baluardi di argento» si intendono le virtù forti ed eroiche rivestite dalla fede, significata dall'argento. Tali virtù sono già quelle del matrimonio spirituale e poggiano sull'anima forte, simboleggiata nella «muraglia », nella cui fortezza trova il suo riposo lo Sposo pacifico senza essere disturbato da nessuna debolezza. Per «tavole di cedro» si intendono le affezioni e le qualità dell'amore elevato che viene simboleggiato dal cedro. Si tratta dell'amore 'proprio del matrimonio spirituale; perché se ne adorni, la sposa deve essere «la porta» attraverso. la . quale lo Sposo possa entrare, tenendo spalancato per Lui l'ingresso della volontà, con un pieno e vero consenso di amore, che è il consenso del fidanzamento, che precede quello del matrimonio spirituale. Infine per «petto» della sposa si intende l'amore perfetto che ella deve avere per comparire davanti allo sposo Cristo nella perfezione di tale stato.
3 - Il testo citato (Cant, 8, IO) soggiunge che la sposa bramosa di uscire a fare tali visite, risponde: lo sono un muro e il. mio petto è come una torre, come se dicesse: l anima mia è molto forte e il mio; amore molto elevato e quindi non c'è una ragione perché non debba uscire. Anche ora l'anima sposa, spinta dal desiderio di questa unione e trasformazione perfetta, ha espresso lo stesso pensiero nelle strofe precedenti, specialmente in quelle spiegate per ultime, in cui pone davanti allo Sposo, per. obbligarlo di più, le virtù e le ricche disposizioni da Lui ricevute, Perciò l'Amato, volendo portare a conclusione la cosa dice le due strofe seguenti, nelle quali finisce di purificare l'anima, di renderla forte e dì disporla a questo stato, sia nella parte spirituale che in quella sensitiva, indirizzandole contro tutte le ribellioni tanto della parte sensibile quanto del demonio.