II. Quando venne la pienezza del tempo...

3. "Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna" (Gal 4,4).

La pienezza del tempo viene da Dio, ma la preparano gli uomini e viene per gli uomini e mediante gli uomini. Ciò vale per la "pienezza del tempo" nella generale economia della salvezza, che ha, pure essa, il suo condizionamento umano e la sua storia concreta. Ma ciò vale anche per il momento dell’approdo dei singoli popoli al porto della fede salvifica: per la loro "pienezza del tempo". Anche il millennio del Battesimo e della conversione della Rus’ ha una sua storia. Il processo di cristianizzazione dei singoli popoli e nazioni è un fenomeno complesso e richiede molto tempo. Nel territorio della Rus’ esso fu preparato dai tentativi compiuti nel secolo IX dalla Chiesa di Costantinopoli (Cfr. la lettera enciclica con cui il Patriarca Fozio, nell’867, annunzia che la gente chiamata "Rhos" aveva accolto un vescovo. Ep. I, 13: PG 102, 736-737; cf. anche "Les regestes des actes du patriarcat de Costantinople I", II a cura di V. Grumel, Paris 1936, n. 481, pp. 88-89). Successivamente, nel corso del secolo X, la fede cristiana cominciò a penetrare nella regione grazie ai missionari, che venivano non solo da Bisanzio, ma anche dai territori dei vicini slavi occidentali - i quali celebravano la liturgia in lingua slava secondo il rito instaurato dai santi Cirillo e Metodio - e dalle terre dell’Occidente latino. Come attesta l’antica Cronaca cosiddetta di Nestor ("Povest’ Vremennykh Let"), nel 944 esisteva a Kiev una chiesa cristiana, dedicata al profeta Elia ("Povest’ Vremennykh Let", ed D.C. Likhacev, Mosca-Leningrado 1950, pp. 235ss). In questo ambiente, già preparato, la principessa Olga si fece liberamente e pubblicamente battezzare verso il 955, rimanendo poi sempre fedele alle promesse battesimali. A lei, nel corso della visita a Costantinopoli del 957, il patriarca Poliecto avrebbe rivolto un saluto in qualche modo profetico: "Benedetta sei tu tra le donne russe, perché amasti la luce e cacciasti via le tenebre. Perciò ti benediranno i figli russi fino all’ultima generazione" (Cfr. Filaret Gumilevskyj, "Vite dei Santi", t. luglio, Pietroburgo 1900, p.106 . Olga, però, non ebbe la gioia di vedere cristiano il figlio Svjatoslav. La sua spirituale eredità fu raccolta dal nipote Vladimiro, il protagonista del Battesimo del 988, il quale accettò la fede cristiana e promosse la conversione, stabile e definitiva, del popolo della Rus’. Vladimiro ed i nuovi convertiti sentirono la bellezza della liturgia e della vita religiosa della Chiesa di Costantinopoli (Si veda, a riguardo, il racconto della Povest’ Vremennykh Letm sopra citata). Fu così che la nuova Chiesa della Rus’ attinse da Costantinopoli l’intero patrimonio dell’Oriente cristiano e tutte le ricchezze ad esso proprie nel campo della teologia, della liturgia, della spiritualità, della vita ecclesiale, dell’arte.

Tuttavia, il carattere bizantino di questo retaggio fu sin dall’inizio trasferito in una nuova dimensione: la lingua e la cultura slave diventarono un nuovo contesto per ciò che finora trovava la propria espressione bizantina nella capitale dell’Impero d’Oriente ed anche in tutto il territorio che ad esso fu unito attraverso i secoli. Agli slavi orientali la parola di Dio e la grazia ad essa unita giunsero così in una forma a loro più vicina dal punto di vista culturale e geografico. Quegli slavi, accogliendo la parola con tutta l’obbedienza della fede, desideravano al tempo stesso esprimerla nelle proprie forme di pensiero e con la propria lingua. In questo modo si realizzò quella particolare "inculturazione slava" del Vangelo e del cristianesimo, che si ricollega alla grande opera dei santi Cirillo e Metodio, i quali, da Costantinopoli, portarono il cristianesimo, nella versione slava, nella Grande Moravia e, grazie ai loro discepoli, ai popoli della Penisola Balcanica.

Fu così che san Vladimiro e gli abitanti della Rus’ di Kiev ricevettero il Battesimo da Costantinopoli, dal più grande centro dell’Oriente cristiano, e, grazie a questo, la giovane Chiesa fece il proprio ingresso nell’ambito del ricchissimo patrimonio bizantino, della sua eredità di fede, di vita ecclesiale, di cultura. Tale patrimonio divenne subito accessibile alle vaste moltitudini degli slavi orientali e poté essere assimilato più facilmente, poiché la sua trasmissione sin dall’inizio fu favorita dall’opera dei due santi fratelli di Tessalonica. La Scrittura e i libri liturgici vennero dai centri culturali religiosi degli slavi, che avevano accolto la lingua liturgica da essi introdotta.

Vladimiro, grazie alla sua saggezza e alla sua intuizione, mosso dalla sollecitudine per il bene della Chiesa e del popolo, accettò nella liturgia, in luogo del greco, la lingua paleoslava, "facendone uno strumento efficace per avvicinare le verità divine a quanti parlavano in tale lingua". ("Slavorum Apostoli", 12). Come ho scritto nella Epistola Enciclica "Slavorum Apostoli", (cf. "Slavorum Apostoli", 11-13), i santi Cirillo e Metodio, anche se consapevoli della superiorità culturale e teologica della eredità greco-bizantina che portavano con sé, ebbero tuttavia il coraggio, per il bene dei popoli slavi, di servirsi di un’altra lingua ed anche di un’altra cultura per l’annuncio della fede.

In tal modo la lingua paleoslava costituì nel Battesimo della Rus’ un importante strumento, anzitutto per la evangelizzazione e, in seguito, per l’originale sviluppo del futuro patrimonio culturale di quei popoli, sviluppo divenuto in molti settori una ricchezza della vita e della cultura dell’intero genere umano.

Bisogna, infatti, sottolineare con tutta fermezza, per fedeltà alla verità storica, che secondo la concezione dei due santi fratelli di Tessalonica, con la lingua slava si introdusse nella Rus’ lo stile della Chiesa bizantina, che a quel tempo era ancora in piena comunione con Roma. E questa tradizione in seguito è stata sviluppata in modo originale e forse irripetibile, in base alla cultura indigena ed anche grazie ai contatti con i vicini popoli di Occidente.

4. La pienezza del tempo per il Battesimo del popolo della Rus’ venne, dunque, alla fine del primo millennio, quando la Chiesa era indivisa. Dobbiamo ringraziare insieme il Signore per questo fatto, che rappresenta oggi un auspicio ed una speranza. Dio ha voluto che la madre Chiesa, visibilmente unita, accogliesse nel suo grembo, già ricco di Nazioni e di popoli, ed in un momento di espansione missionaria sia in Occidente sia in Oriente, questa sua nuova figlia, nata sulle rive del Dniepr. C’era la Chiesa di Oriente e c’era la Chiesa d’Occidente, ognuna sviluppatasi secondo proprie tradizioni teologiche, disciplinari liturgiche, con differenze anche notevoli, ma esisteva la piena comunione tra l’Oriente e l’Occidente, tra Roma e Costantinopoli, con relazioni reciproche.

Ed è stata la Chiesa indivisa di Oriente e di Occidente che ha ricevuto ed ha aiutato la Chiesa di Kiev. Già la principessa Olga aveva chiesto all’imperatore Ottone I, ed ottenuto nel 961, un Vescovo "qui ostenderet eis viam veritatis", il monaco Adalberto di Treviri, il quale si recò effettivamente a Kiev, dove tuttavia il permanente paganesimo gli impedì di svolgere la sua missione. (La notizia è data da alcune fonti tedesche: così "Lamperti Monachi Hersfeldensis opera", ed. O. Holter-Egger, 1894, p. 38). Il principe Vladimiro avvertì che c’era questa unità della Chiesa e dell’Europa, perciò intrattenne rapporti non solo con Costantinopoli, ma anche con l’ Occidente e con Roma, il cui Vescovo era riconosciuto come colui che presiedeva la comunione di tutta la Chiesa. Secondo la "Cronaca di Nikon", vi sarebbero state legazioni tra VIadimiro ed i Papi del tempo: Giovanni XV (che gli avrebbe mandato in dono, proprio l’anno del Battesimo del 988, alcune reliquie di san Clemente papa, con chiaro riferimento alla missione dei santi Cirillo e Metodio, i quali da Cherson avevano portato a Roma quelle reliquie) e Silvestro II. (cf. la "Nikonoskaja Letopis" ad 6494, in "Polnoe sobranie russkich letopisej", IX, Sti Petersburg 1862, p.57). Bruno di Querfurt, dallo stesso Silvestro II mandato a predicare col titolo di "archiepiscopus gentium", verso il 1007 visitò Vladimiro, chiamato "rex Russorum" (cf. Petri Damiani "Vita beati Romualdi", c. XXVII: PL 144, 978 , in "Fonti per la storia d’Italia", 94, Roma, 1957, p. 58). Più tardi, anche il Papa san Gregorio VII diede il titolo regale ai principi di Kiev nella sua lettera del 17 aprile 1075, indirizzata a "Demetrio (Isjaslaw) regi Ruscorum et reginae uxori eius", i quali avevano mandato il figlio, Jaropolk, in pellegrinaggio ad "limina Apostolorum", ottenendo che il regno fosse posto sotto la protezione di san Pietro (cf. Gregorii VII Registrum, II, 74, ed. E. Caspar, in "Epistulae selectae in usum scholarum ex Monumentis Germaniae Historicis" separatim editae, t. II, ristampa 1955, pp.236-237). Merita di essere sottolineato questo riconoscimento, da parte di un Pontefice romano, della sovranità acquistata dal principato di VIadimiro, il quale grazie al Battesimo del 988 aveva consolidato anche politicamente il suo Stato, favorendone lo sviluppo e facilitando l’integrazione dei popoli abitanti entro i suoi confini di quel tempo e quelli successivi. Questo gesto profetico di entrare nella Chiesa e di introdurre il proprio principato nell’orbita delle Nazioni cristiane, gli portò il lodevole titolo di santo e di Padre delle Nazioni, che da quel principato trassero la loro origine.

Così Kiev, col Battesimo, divenne crocevia privilegiato di culture diverse, terreno di penetrazione religiosa anche dell’Occidente, come attesta il culto di alcuni santi venerati nella Chiesa latina, e, col decorrere del tempo, un importante centro di vita ecclesiale e di irradiazione missionaria con un vastissimo campo di influenza: verso Occidente fino ai monti Carpazi, dalle sponde meridionali del Dniepr sino a Novgorod e dalle rive settentrionali del Volga - come già detto - fino alle sponde dell’Oceano Pacifico ed oltre. In breve, attraverso il nuovo centro di vita ecclesiale, quale divenne Kiev dal momento in cui ricevette il Battesimo, il Vangelo e la grazia della fede raggiunsero quelle popolazioni e quelle terre che oggi sono legate al Patriarcato di Mosca, per quanto riguarda la Chiesa ortodossa, ed alla Chiesa cattolica ucraina, la cui piena comunione con la sede di Roma fu rinnovata a Brest.

 

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